Giuseppe Sergi: "A un anno di distanza, siamo al punto di partenza e non si sono fatti passi avanti"
*Di Giuseppe Sergi
È quasi passato un anno da quel 12 aprile 2022 in cui il Gran Consiglio, con l’accordo di quasi tutte le forze politiche (dall’UDC ai Verdi), decideva di approvare una proposta che aveva la pretesa di affrontare la questione del cosiddetto “risanamento” dell’Istituto di Previdenza del Canton Ticino (IPCT). L’opposizione, chiara e netta e con tanto di proposta alternativa, era venuta, ancora una volta, dall’MPS. La concertazione (“Cassa pensione tutti d’accordo”, aveva titolato il Corriere del Ticino, forse già introducendo mentalmente la percentuale di sbarramento ed eliminando dal Parlamento la voce delle forze minori come l’MPS) l’aveva spuntata ancora una volta.
Il tema era davanti Gran Consiglio da ormai più di due anni: il Consiglio di Stato aveva proposto, con un messaggio specifico, di sostenere l’IPCT attraverso un finanziamento (da attuarsi in forme diverse) di 500 milioni di franchi, corrispondente al versamento anticipato dei propri contributi. Ma da quel momento, siamo ad inizio 2020, comincia la melina, condotta in particolare dall’estrema destra (Lega e UDC) che non vuole che il datore di lavoro (il Cantone) versi questo contributo, minacciando un referendum in caso di accoglimento della proposta.
Gli altri, a cominciare dallo stesso governo che aveva presentato il messaggio, non si fanno pregare e accolgono le ridicole motivazioni di Lega e UDC che conducono la danza, riuscendo alla fine a far approvare una proposta totalmente diversa che permette ai datori di lavoro (il Cantone, i Comuni e altri enti i cui dipendenti sono affiliati all’IPCT) di non versare nemmeno un centesimo per i salari (le pensioni, ricordiamolo, altro non sono che salario “differito”) dei propri dipendenti.
Infatti, dal cilindro della commissione della gestione emerge, come l’ha definita il leghista Michele Guerra, coordinatore della Sottocommissione finanze, “una soluzione innovativa che tutela al massimo l’interesse del contribuente e del Cantone“. Si tratta di una proposta che vede il datore di lavoro intervenire senza versare nemmeno un centesimo. Come? Emettendo un prestito obbligazionario sui mercati finanziari di 750 milioni che poi “girerà” all’IPCT; quest’ultimo dovrà investirlo sui mercati finanziari e in questo modo contribuire alla soluzione dei problemi della cassa pensione. Costo zero per il datore di lavoro che accollerà alla cassa pensione i costi del prestito obbligazionario.
Una soluzione assurda, poiché affida all’evoluzione dei mercati finanziari il futuro delle pensioni dei dipendenti del Cantone, di fatto giocandosi in borsa le pensioni. E il fatto che già all’epoca (siamo nella primavera del 2022) i mercati finanziari avessero dato segni ampi di volatilità e crisi, non aveva certo impensierito i partiti dell’arco costituzionale, fattisi “intortare” (meglio, lasciatisi intortare) dalle chiacchiere di Pamini e soci; e cedendo al ricatto della Lega sul lancio del referendum se il Gran Consiglio avesse approvato invece la proposta iniziale del governo di un versamento diretto alla cassa di 500 milioni.
In questi mesi i mercati finanziari hanno dimostrato quanto ridicola dal punto di vista finanziario (al di là degli aspetti politici) fosse la proposta dei partiti che l’avevano approvato, denotando la solita incompetenza nell’affrontare i problemi più importanti.
Infatti, un primo tentativo di asta pubblica per la sottoscrizione di una prima tranche del prestito obbligazionario, fatto in giugno,ancora è andato miseramente a vuoto: nessuno ha sottoscritto alle condizioni richieste. Christian Vitta, a nome del governo, ha dovuto ammettere il fallimento, limitandosi ad annunciare che sarebbe stato fatto un nuovo tentativo a breve. Cosa che, si presume, sia avvenuta ma con risultati, si deve presumere in assenza di qualsiasi riscontro ufficiale, altrettanto negativi.
Il risultato è che, a quasi un anno di distanza dall’approvazione di quella “soluzione innovativa”, siamo al punto di partenza e il cosiddetto “risanamento” dell’IPCT non ha fatto alcun passo avanti. Tutto questo in un contesto finanziario internazionale (come quello che viviamo in questi giorni) che rende ancor meno credibile di quanto non lo fosse un anno fa la soluzione proposta allora.
Un vuoto di soluzioni, sembra quasi fatto apposta, che rende ancora più difficile la discussione per l’adozione di misure di compensazione in grado di contrastare la diminuzione delle rendite conseguente alla diminuzione del tasso di conversione, già avviato nella prima tappa per l’inizio del 2024 (con una diminuzione del 2% delle future rendite).
Più che mai urgente quindi, la mozione presentata dal gruppo MPS (nell’agosto dello scorso anno) che chiede al Parlamento di abbandonare la decisione presa e di tornare sulla proposta iniziale di un versamento di 500 milioni da parte del datore di lavoro (il Cantone e gli altri enti affiliati all’IPCT). Ricordiamo le parole contenute in quella mozione che definiva “assurda” della soluzione accolta dal Parlamento: “Prima di tutto perché affida il futuro della cassa (e quindi delle pensioni di migliaia di dipendenti pubblici – dipendenti del Cantone, dei Comuni, di diversi servizi sociali, della Supsi, dell’Usi ecc.) – a eventuali performance del mercato azionario; in secondo luogo poiché con questa soluzione il datore di lavoro (il Cantone in primis) non ci mette di proprio nemmeno un centesimo; infine poiché è evidente che investire e – soprattutto – far rendere 500 o 700 milioni nell’attuale contesto dei mercati finanziari appare (e appariva già al momento del dibattito in Gran Consiglio nel corso della scorsa primavera) come operazione altamente difficile e, va da sé, rischiosa“.
Parole di grande attualità
*Coordinatore MPS