SECONDO ME
Dell’Ambrogio vs Tettamanti: “La fierezza di dirmi non-conservatore”
L'ex segretario di Stato sul mensile Lib-: "Con lui mi trovo d’accordo sull’analisi degli errori di tante illusioni progressiste, ma..."
TiPress/Pablo Gianinazzi

Di Mauro Dell’Ambrogio (Editoriale del Lib-, mensile del PLRT) 

Lavorare meno per lavorare tutti: era la tesi con la quale decenni fa si giustificavano pensionamenti anticipati, per liberare posti di lavoro per i giovani. Nel Paese confinante si pensionavano quarantenni e si arrivò perfino a dare pensione piena dopo soli 15 anni di servizio (pubblico). Ora in quel Paese si discutono le eccezioni per non dover pensionare tutti a 67 anni. Una colossale ingiustizia tra generazioni.

Prima che gli Stati introducessero le pensioni obbligatorie era affare di ciascuno provvedere per la propria vecchiaia: risparmiando o crescendo figli che avrebbero assunto l’onere. Con le pensioni lo Stato sociale creò una colossale opera di solidarietà obbligata: già per l’aspetto assicurativo (chi vive a lungo profitta dei contributi di chi scampa meno), ma anche per i correttivi che permettono la generosità verso chi ha potuto pagare solo contributi modesti, grazie ai contributi di chi ha la rendita plafonata, come succede con la nostra AVS.

Questi correttivi sono anche da noi terreno di scontro politico permanente, con ricorrenti votazioni popolari intorno all’età e alle regole per i pilastri previdenziali. Sotto la spinta di maggioranze condizionate dalla demografia cova l’ingiustizia. In una società che invecchia, i giovani sono chiamati alla cassa per prestazioni delle quali non potranno essi pure un giorno beneficiare. Similmente accade con gli atteggiamenti di interessato scetticismo verso i problemi ambientali, scaricando su chi verrà dopo le conseguenze dei consumi di oggi.

Si tratta di un capovolgimento epocale. Dalla rivoluzione francese le ideologie liberali e socialiste ponevano alla base dell’azione politica progetti di società migliori per le future generazioni. Moderate semmai da sano scetticismo circa le possibilità di cambiare la natura umana. La svolta a destra cui assistiamo è in apparenza contrassegnata da nazionalismi e populismi, già sperimentati in verità, che tornano quando sono dimenticate le dittature e le guerre che generano. Nel profondo però esprime un orientamento al qui e ora, quanto mai opposto perfino al messaggio evangelico.

Per certi aspetti si tratta di un ritorno all’ancien regime, quando contava l’origine e non il merito. O perfino all’antichità, quando i cittadini erano mantenuti dal lavoro degli schiavi. Oggi si postulano redditi di cittadinanza, anche solo in forma di comodi posti di lavoro garantiti dallo Stato. Mentre il lavoro nei campi, nelle cucine o nelle cure domestiche o in istituti si prospetta agli immigrati, ancora più privo di diritti e prospettive se svolto nella clandestinità: che ufficialmente si combatte, ma in pratica fa comodo.

Per ribellarsi a questo clima politico bisogna recuperare impulsi ideali. A me è successo leggendo il volumetto appena pubblicato Confessioni di un conservatore, di Tito Tettamanti. Persona degnissima, con la quale mi trovo d’accordo sull’analisi degli errori di tante illusioni progressiste, ma la cui indifferenza verso la cappa reazionaria che oggi respiriamo m’induce a recuperare la fierezza di dirmi non-conservatore.

 

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