"Se non sappiamo distinguere tra bisogni e diritti, possibilità e illusioni, necessario e augurabile, ci ritroveremo a firmare cambiali che qualcun altro dovrà pagare al posto nostro"
di Simona Genini *
Poco prima della fine dello scorso anno, insieme al gruppo PLR in Gran Consiglio, ho presentato un’iniziativa parlamentare per dare all’educazione finanziaria nelle nostre scuole la stessa dignità oggi riconosciuta alla civica e all’educazione alla cittadinanza.
La proposta nasce dalla mia esperienza professionale come funzionaria, insegnante, avvocato ed esperta fiscale. Nonostante la diversità di questi ruoli, ho riscontrato un denominatore comune: molte persone, anche istruite e ben integrate nella società, hanno conoscenze limitate sui principi fondamentali della gestione finanziaria. Questo vale tanto per le finanze personali—pagamenti, imposte, investimenti, previdenza—quanto per la comprensione dei meccanismi basilari della finanza pubblica.
La mia iniziativa, però, non è frutto di un’impressione personale. Le statistiche confermano questa realtà e il mio atto parlamentare ne menziona diverse. Una, in particolare, è significativa: in Svizzera, solo il 57% della popolazione adulta possiede un’elevata alfabetizzazione finanziaria, contro il 71% dei Paesi scandinavi. Ma questo è davvero un problema? La risposta è sì. E un esempio concreto lo troviamo proprio in Ticino.
Attualmente, il Gran Consiglio sta esaminando tre proposte—presentate da Centro, Lega dei Ticinesi e PS—relative ai premi della cassa malati, tra sussidi e deduzioni fiscali. Se approvate, le iniziative di Lega e PS comporterebbero una spesa di 400 milioni di franchi all’anno (100+300), una cifra che metterebbe seriamente a rischio le finanze cantonali. Fino a pochi anni fa, costi del genere sarebbero stati sufficienti a garantire la bocciatura popolare di qualsiasi proposta.
Oggi, però, sembra che il "cartellino del prezzo" sia diventato un dettaglio irrilevante nel dibattito politico. Durante la pandemia, lo Stato ha mobilitato in tempi record decine di miliardi di franchi, dando l’impressione che il denaro pubblico potesse essere generato dal nulla. Se da un lato questa spesa ha avuto un effetto salvifico—evitando il tracollo dell’economia e del Paese—dall’altro ha lasciato un effetto diseducativo sia nella cittadinanza che nei suoi rappresentanti eletti.
Di colpo, abbiamo smesso di vedere le risorse economiche disponibili come un vincolo reale per lo Stato e abbiamo accettato l’idea che la spesa pubblica non abbia limiti. Così, di fronte a nuove proposte politiche, ci comportiamo come ragazzi che ricevono il primo stipendio e firmano un contratto di leasing insostenibile, senza nemmeno leggere il costo finale.
Nel caso delle iniziative sui premi della cassa malati, la confusione non riguarda solo l’enormità della spesa proposta, ma anche l’approccio indifferenziato alla distinzione tra misure sociali (sussidi) e fiscali (deduzioni). Questo porta a perdere di vista aspetti fondamentali. Per esempio, pochi ricordano che il Ticino è già tra i cantoni più generosi sia nelle deduzioni per i premi di cassa malati sia nell’erogare i sussidi. Di questi ultimi un terzo della popolazione ticinese continuerà a beneficiarne (anche con la misura approvata dal Parlamento nell’ambito del preventivo). Per quanto attiene la proposta leghista, la deducibilità richiesta comporterebbe un aumento della spesa pubblica di 100 milioni di franchi l’anno, con un beneficio reale, per una famiglia del ceto medio di poche centinaia di franchi all’anno. Non credo servano altri commenti.
Se la politica non torna a fare anche di conto e alle nuove generazioni non si insegna un responsabile approccio alle finanze personali, il rischio sono decisioni politiche miopi e insostenibili. Se non sappiamo distinguere tra bisogni e diritti, possibilità e illusioni, necessario e augurabile, ci ritroveremo a firmare cambiali che qualcun altro dovrà pagare al posto nostro.
* deputata PLR