Il deputato del Centro: "I bambini hanno bisogno di chiarezza e di certezze, non di messaggi confusi su argomenti a proposito dei quali la scienza è ancora in fase di esplorazione"
di Giuseppe Cotti*
A breve sarà presentata ai bambini delle scuole elementari del Locarnese la nuova versione del progetto "Sono unico e prezioso!", un’iniziativa pensata per aiutarli a riconoscere e a difendersi da situazioni di abuso e maltrattamento. Si tratta di un’iniziativa dall’indiscusso valore educativo, che persegue obiettivi lodevoli per la protezione dell’infanzia.
Il problema, però, è che quest’anno, seppur marginalmente, sono state introdotte nel programma anche tematiche legate all’«identità di genere», senza un adeguato equilibrio scientifico e senza un reale coinvolgimento delle famiglie. Bambini di soli 7 anni si trovano così confrontati con questioni molto complesse – inclusa l’idea che il sesso di una persona possa essere «fluido» – in aperto contrasto con la prudenza raccomandata dalle autorità scientifiche.
A questo proposito, l’Accademia europea di pediatria (EAP) e la Società europea di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (ESCAP) – intervenute di recente sul tema – ricordano ad esempio che i dubbi sull’«identità di genere», per la maggior parte dei bambini che li manifestano, si risolvono nel corso del normale processo di sviluppo. Nel rispetto del principio ippocratico («primo non nuocere») il mondo degli adulti dovrebbe quindi evitare di seminare confusione laddove confusione non c’è – o evitare di alimentarla nei casi in cui esiste, lasciando spazio a un’evoluzione spontanea o a un eventuale intervento multidisciplinare. Parte della comunità scientifica segnala inoltre l'esigenza di approfondire la questione del possibile «contagio sociale»: negli ultimi anni i casi di «disforia di genere» tra adolescenti sono infatti aumentati in modo netto e improvviso, concentrandosi spesso in piccoli gruppi di persone.
Questa dinamica anomala ha portato gli esperti a interrogarsi sulle influenze ambientali e culturali –con i social media in primo piano – nel percorso di autodeterminazione dell’«identità di genere» nei più giovani. In attesa di studi più approfonditi sul fenomeno, il suggerimento degli studiosi è chiarissimo: adottare un approccio prudente e multidisciplinare, che tenga conto delle evidenze scientifiche disponibili e tenga in primo piano il ruolo della famiglia.
Quando si entra in casa d’altri, si bussa alla porta, non si entra dalla finestra. Lo stesso principio dovrebbe valere per l’educazione scolastica su temi così delicati. I bambini hanno bisogno di chiarezza e di certezze, non di messaggi confusi su argomenti a proposito dei quali la scienza è ancora in fase di esplorazione. «Sono unico e prezioso!» è un progetto necessario, ma deve rimanere fedele alla sua missione originale: tutelare i bambini senza introdurre elementi di confusione o affrontare temi controversi. Su questo aspetto, è quindi opportuna una revisione mirata dei contenuti, affinché il progetto continui a fornire alle famiglie un supporto sicuro, basato sulla scienza e sul buon senso.
*deputato Il Centro