SECONDO ME
"Vietiamo gli smartphone nella scuola dell'obbligo?"
Aron Piezzi, deputato PLR: "I nostri giovani vengono deprivati di quell’apprendistato sociale insostituibile per lo sviluppo delle competenze necessarie per la vita adulta"
TIPRESS

*Di Aron Piezzi

Recentemente il Centro risorse didattiche e digitali ha promosso un convegno dedicato a “Digitale e benessere”. Tra i diversi interventi di spicco, c’è stato quello del professor Marco Gui, ricercatore alla Bocconi di Milano. Oltre a segnalare le (note) conseguenze di un uso eccessivo dello smartphone per i nostri giovani, il professor Gui ha evidenziato l’essenzialità di costruire con gradualità e attraverso “patti digitali” l’uso dello smartphone, anche perché sotto i 14 anni le funzioni neuro-cognitive sono acerbe e rischiano di essere compromesse da un assorbimento eccessivo di connessioni digitali invasive, che possono provocare veri e propri traumi.

Citai proprio Marco Gui nel febbraio del 2020, allorquando ci occupammo in Parlamento di una mozione inoltrata nel settembre del 2018 da Fonio, Polli e Bang intitolata “Vietiamo gli smartphones nella Scuola dell’obbligo”. Seguendo il rapporto della Commissione formazione e cultura, redatto da Alessandro Speziali, il Gran Consiglio decise di accogliere l’atto parlamentare, decidendo due importanti aspetti:

1) vietare l’utilizzo degli smartphones all’interno del perimetro scolastico, laddove i dispositivi tecnologici di comunicazione personali dovrano essere spenti e non visibili fisicamente;

2) rafforzare, in maniera interdisciplinare, i momenti di riflessione critica sull’utilizzo degli smartphones soprattutto alla Scuola media.

Da parte mia, esprimendomi in favore del rapporto commissionale a nome del PLR, avvalorai tale decisione basandomi su alcune conclusioni a cui il professor Gui era giunto nel libro “Il digitale a scuola”. Ossia, in estrema sintesi: gli strumenti digitali nella scuola non migliorano l’apprendimento negli studenti; è essenziale lo sviluppo di un uso consapevole dei media; non c’è alcuna evidenza che porti a pensare allo smartphone come ad uno strumento adatto a essere utilizzato con continuità nella didattica scolastica. Insomma, come afferma pure il noto psicoterapeuta Alberto Pellai: nella scuola di oggi occorrono “meno schermi e più umanizzazione, educazione emotiva e vita sociale.” Concordo pienamente.

Dall’anno scolastico 2020/2021, il DECS, ha quindi emanato delle nuove Direttive per regolare l’utilizzo degli smartphone nella Scuola dell’obbligo, tenendo in considerazione le decisioni parlamentari testé enunciate. Il divieto degli smartphone, in Ticino, c’è già; basterebbe farlo rispettare con maggiore autorevolezza. Certo, perché sembrerebbe che ci siano discrepanze nell’applicazione di tali Direttive. A seguito di questa situazione non chiara, io e gli altri membri PLR della Commissione formazione e cultura abbiamo inoltrato, negli scorsi giorni, un’interrogazione che chiede il motivo per il quale – semmai – queste decisioni parlamentari non vengono rispettate.

È noto a tutti che anche in Ticino, come ovunque nel mondo, si stia discutendo molto sul tema in questione. In molti (partiti, associazioni, cittadini) chiedono giustamente regole più ferree sull’uso degli smartphone nella Scuola dell’obbligo. Ma c’è un’ovvietà: non è sufficiente focalizzarci solo sulla scuola, perché è una tematica che concerne tutta la comunità. Consiglio vivamente, a questo proposito, di leggere “La generazione ansiosa” dello psicologo americano Jonathan Haidt, incentrato – dati oggettivi alla mano – sugli enormi rischi di un’infanzia basata sul telefono anziché sul gioco fisico: ansia, depressione, incapacità di attenzione, dipendenza e solitudine sono sintomi sempre più presenti. I nostri giovani vengono deprivati di quell’apprendistato sociale insostituibile per lo sviluppo delle competenze necessarie per la vita adulta. Le regole di Haidt per evitare queste derive sono quattro: niente smartphone prima delle scuole superiori; niente social media prima dei 16 anni; a scuola senza cellulare; più gioco senza supervisione e più indipendenza. Sono regole senz’altro ambiziose, ma che hanno un senso, da noi, se applicate a livello federale. Dev’essere questo il nostro obiettivo, affinché si riporti “l’infanzia sulla terra” (parole di Haidt).

*deputato PLR

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