BELLINZONA – Sulla base dell’annuale inchiesta congiunturale condotta presso i soci della Cc-Ti, alla quale hanno partecipato 247 aziende, l’anno 2022 è stato in generale di segno tutto sommato positivo per le imprese ticinesi, malgrado le crescenti difficoltà legate ai costi dell’energia, alle reperibilità e ai prezzi delle materie prime e, per le aziende esportatrici, alla forza del franco. Difficoltà che per talune aziende raggiungono livelli anche molto preoccupanti.
Fra i parametri più importanti, va rilevato che il livello degli investimenti, è rimasto buono nel 2022 e sembra stabile anche nel 2023, con il 44% delle aziende che ha investito e intende investire. Il valore è leggermente superiore ai due anni precedenti caratterizzati dalle note difficoltà causate dalla pandemia. Soprattutto nel settore industriale/artigianale vi è stato un incremento dal 61 al 67% delle imprese che hanno investito o che investiranno.
L’autofinanziamento è rimasto costante, con il 33% delle aziende che lo considera buono e il 37% soddisfacente, valori praticamente invariati rispetto agli anni passati. Preoccupa comunque in prospettiva la costante riduzione dei margini di utile, in atto già da qualche anno, e che potrebbe portare a medio termine ad una perdita di competitività e quindi avere anche con riflessi sull’occupazione, che per il momento si conferma stabile. Le previsioni per il 2023 indicano un andamento un po’ meno positivo, considerate le molte incertezze nel panorama internazionale. Rispetto al 2022, anno considerato buono dal 36% delle imprese, si passa al 32% di andamento buono previsto per il primo semestre 2023 e al 28% per il secondo semestre del 2023. In generale gli indicatori restano su livelli considerati soddisfacenti, ma prevale comunque l’attesa di una certa flessione nel 2023 qualora si confermassero le difficoltà con le materie prime e nell’ambito dell’energia.
In effetti, ben il 74% delle aziende segnala aumenti del costo dell’elettricità di oltre il 10% nel 2023. Malgrado praticamente tutte le aziende che si sono espresse abbiano previsto misure per ridurre i costi energetici, i timori di dover sospendere almeno parzialmente la produzione sono considerevoli, con conseguenze importanti sulle forniture, sui prezzi, sui margini e
sugli investimenti. A questo proposito, grazie alla collaborazione con Enerti SA, la società delle aziende di distribuzione di energia elettrica in Ticino, le imprese possono avere la possibilità di ottenere modelli tariffali con prezzi bloccati per un determinato periodo. L’andamento 2022 e le previsioni 2023 sono perfettamente in linea con quanto rilevato negli
altri Cantoni.
Andamento generale degli affari
L’andamento generale degli affari nel 2022 è risultato di segno positivo, sostanzialmente confermando le aspettative espresse nel 2021, con un recupero rispetto ai due anni caratterizzati dalla pandemia di Covid. Il 77% delle imprese ha valutato in maniera favorevole l’andamento degli affari nello scorso anno (soddisfacente per il 41% delle aziende, buono per il 36%). Le tendenze sono simili per le aziende esportatrici (soddisfacente per il 42% e buono per il 38%), malgrado le
note difficoltà a livello internazionale. Per quel che riguarda le previsioni sull’andamento degli affari a breve termine, cioè̀ per i prossimi 6 mesi, la tendenza è invece in calo. Prevale una certa positività, ma un buon andamento degli affari
è in calo e previsto dal 32% delle aziende (41% lo valuta soddisfacente, mentre il trend negativo/mediocre passa dall’attuale 21% al 25%). Per il secondo semestre del 2023, le previsioni sono di un’evoluzione soddisfacente per il 46% delle aziende, ma le previsioni di andamento buono scendono ulteriormente al 28%. Il segno negativo concerne il 25% delle imprese, anche se un andamento pessimo è segnalato “solo” dal 5- 6% delle risposte.
Margine di autofinanziamento delle imprese
Come sempre, particolare attenzione viene data ai valori espressi quanto al margine di autofinanziamento delle aziende, perché si tratta di un indicatore importante del loro stato di salute. Il valore resta costante con il 70% delle imprese che giudica positivamente il margine di autofinanziamento (37% soddisfacente, 33% buono) e la conferma di questa tendenza è un indicatore importante della capacità competitiva del nostro sistema.
Investimenti
Riflessi della situazione pandemica e dell’incertezza generale si notano negli investimenti. Pur rimanendo il livello molto buono, anche se paragonato agli altri cantoni, si nota una certa flessione. Il 44% delle aziende ha investito (come termine di paragone vi sono il 2018 con il 50% e il 2019 con il 46%). Si conferma comunque, senza sorprese, che la quota maggiore di investimenti è nel settore industriale (67% delle aziende ha investito) e nella categoria delle aziende grandi (con oltre
100 dipendenti), nella quale il 77% delle imprese ha effettuato investimenti. Il calo è tutto sommato entro limiti fisiologici date le molte incertezze di questi ultimi anni, legate soprattutto agli effetti della pandemia anche sulle supply chain, alla difficile reperibilità delle materie prime e ai loro prezzi, così come gli aumenti dei costi dell’energia.
Per il 2023 il valore di chi prevede investimenti è invariato (44%), di per sé fatto rassicurante, visto che d’altra parte si prevede un rallentamento congiunturale.
Attenzione verso l’occupazione
Come negli anni scorsi, l’attenzione verso l’occupazione è confermata anche nel 2022 con una sostanziale stabilità dell’effettivo espressa dal 63% delle aziende. Un aumento è segnalato dal 24% e una diminuzione dal 13%, in linea con quanto sempre rilevato. Malgrado le difficoltà e le incertezze di vario genere, l’occupazione non ha subito contraccolpi. Dato interessante è che, anche qui, nonostante vi siano aumenti di costi (v. energia) e altre problematiche non da poco, ben il 72% prevede una stabilità dell’effettivo per il 2023 e solo il 7% stima che vi possa essere una diminuzione.
Problematica dell’energia
Una delle domande dell’inchiesta verteva sulla questione energetica. In termini di consumi, il 52% delle aziende risulta essere sotto i 100 Mwh/anno di consumo all’anno, il 29% fra i 100 e i 500 Mwh/anno e il 19% sopra i 500 Mwh/anno. Nel settore industriale/artigianale e per le aziende oltre i 30 collaboratori, senza sorprese, aumenta la proporzione di chi consuma oltre i 100 Mwh/anno. L’aumento dei costi tocca praticamente quasi tutti, in proporzioni diverse, Ben il 17% delle
risposte indica un aumento di oltre il 50%, valore che sale al 29% delle risposte per il settore secondario e raggiunge picchi del 33% delle risposte per le aziende più grandi.
Interessante notare che i vettori energetici più utilizzati quali l’elettricità (40%), il gas (34%) e il gasolio (38%), anche se va rilevato che spesso le aziende usano più vettori contemporaneamente. Fra le misure prese per cercare di contenere i costi (risposte multiple possibili), figurano la negoziazione del prezzo con i fornitori (24%), l’autoproduzione (21%), il miglioramento dei processi (34%), l’adattamento dell’illuminazione (57%), del riscaldamento (19%). Oltre a misure varie
(21%). È molto basso il numero di aziende che NON hanno preso alcuna misura (25 sulle 247 che hanno partecipato).
In caso di limitazione dell’approvvigionamento energetico (elettricità o altro), l’8% delle aziende prevede di sospendere completamente l’attività, una sospensione parziale è prevista dal 39% e il telelavoro è un’alternativa per il 51% (con ovviamente una proporzione molto maggiore nei servizi rispetto al settore secondario). Comportamenti anticipatori sono la modifica della fonte di approvvigionamento usata finora (8%), un piano di continuità (21%) e le istruzioni date dalle
autorità (79%).
Difficoltà di approvvigionamento di materie prime
La percentuale rispetto allo scorso anno è chiaramente aumentata da circa il 30% al 44%. Con un picco del 71% per le aziende del secondario (industria/artigianato), mentre per servizi e commercio la percentuale si inverte. Le conseguenze sono molteplici: ritardo di forniture (85%), aumento dei prezzi di acquisto (81%), aumento dei costi di trasporto (59%), riduzione dei margini (56%), rallentamento dell’attività (48%) e la sospensione o lo spostamento di progetti (28%).
Le misure prese vanno dalla ripercussione sui prezzi di vendita (60%), all’utilizzo di materiale sostitutivi (26%), passando per la diminuzione della produzione (14%) e la rinegoziazione di contratti (24%). Per arrivare alla diversificazione dei fornitori (53%) e all’aumento degli stock (41%). Solo il 6% segnala la possibilità di ricorrere al lavoro ridotto per parte del personale. I prezzi delle componenti sono aumentati praticamente per tutti, fino al 10% per il 50% delle imprese, per le restanti gli aumenti variano dall’11 al 100% e oltre. In media, per il 2023, sono previsti aumenti dello stesso tenore, con un 46% che rileva un incremento fra l’11 e il 50%.
Hanno partecipato all’inchiesta 247 imprese associate alla Cc-Ti, che impiegano in tutto 14’470 dipendenti nel cantone. Si tratta di 83 aziende del settore industria-artigianato e di 164 del comparto commercio e servizi. Un campione di aziende consolidato da un rilevamento che si svolge ormai da oltre dieci anni, per cui i risultati sono da considerarsi attendibili e, inoltre, le tendenze che emergono sono sempre confermate da altre ricerche congiunturali condotte da istituti federali e cantonali e dai dati ufficiali.
L’indagine della Cc-Ti, che ha coinvolto 143 realtà̀ aziendali che operano sul mercato interno e altre 104 orientate invece all’export, mira appunto a fornire indicazioni sulle tendenze generali dell’economia ticinese, senza volersi sostituire ad analisi più mirate effettuate da singoli settori economici.