La candidata PS si smarca dal ministro uscente riservando una serie di giudizi taglienti sulla gestione del DECS: "Basta proposte calate dall'alto"
Amalia Mirante, lei sulla carta appare come l’unica candidata sulla lista del PS in grado di impensierire Manuele Bertoli. Le sue possibilità sono comunque poche. Ci crede davvero?
“Se ragionassi in termini di probabilità, non mi sarei candidata. Credo che il tema invece sia la possibilità da dare ad elettrici ed elettori di fare una vera scelta, anche all'interno della nostra lista”.
E quali sono le differenze tra lei e Bertoli? Non sembrano poi molte…
“Invece sono molte. Ma siccome il tempo è poco parliamo di un tema fondamentale: la scuola, un mondo che io conosco dall'interno, visto che sono anche docente. Credo che sui temi della scuola abbiamo bisogno di un approccio molto diverso”.
Quindi lei era contraria alla Scuola che verrà?
“La proposta del dipartimento è stata bocciata dai ticinesi. La loro è l'unica opinione che conta. Credo però che qualcosa posso dirla in merito”.
Prego...
“Quella proposta soffriva di un grande difetto, abbastanza diffuso purtroppo ai giorni nostri. Il difetto delle proposte calate dall'alto, con le migliori intenzioni, con solide basi teoriche ma con poca attenzione al mondo pratico e quotidiano della scuola. La scuola ticinese è un'ottima scuola che si confronta con una società molto diversa da quella in cui è nata, per esempio, la scuola media nel 1976”.
Ma questo lo dice anche Bertoli.
“Certamente. Ma quello che invece dico io è che qualsiasi proposta di riforma, qualsiasi progetto di revisione deve partire da tre principi dai quali non ci si può scostare nemmeno di un millimetro”.
Prego...
“Il primo è l'ascolto degli interessati. Non un ascolto rituale o formale. Un ascolto vero. I docenti, il personale della scuola, gli allievi, i genitori sono quelli che devono dirci dove sono i problemi, sono coloro che devono giudicare le proposte. Soffriamo di un eccesso di astrattismo pedagogico con funzionari ed esperti che amano confrontarsi tra loro ma non altrettanto con la scuola “vera" “.
La consultazione sulla "Scuola che verrà" c’è stata, eccome.
“Tardiva e parziale direi. E forse un po' formale. E la mia impressione è che anche dopo la votazione si voglia rimanere un pochino sulla medesima falsa riga magari facendo digerire la riforma un pezzetto per volta invece che tutta assieme. E soprattutto, quando si sono ascoltati i docenti, i genitori e gli allievi?”
Ha parlato di tre principi. Il primo l’ha detto, mi dica gli altri due.
“L'autonomia didattica dei docenti. È il principio che ha reso forte la nostra scuola. Bisogna difenderlo a tutti i costi, per evitare l'omologazione, le ricette uguali per tutti, per evitare l'applicazione di facili formule pedagogiche magari sulla scorta dei famosi "studi internazionali". Gli obiettivi devono essere raggiunti e le competenze acquisite, ma sta ai docenti e alle docenti decidere quale è il metodo migliore per i ragazzi che si hanno di fronte.
E il terzo principio?
“La politica deve stare fuori dai programmi scolastici. Non dal dibattito sulla scuola capiamoci bene. Intendo che non si deve più tentare di modificare i programmi, frutto di riflessioni delicate e complesse, in parlamento, aggiungendo un'ora di tedesco qui, un'ora di matematica là, portandoci a votare sulla civica piuttosto che su altre cose. A lei andrebbe di farsi operare in cardiologia se il team operasse sulla base del consenso, secondo protocolli elaborati da una commissione parlamentare? Immagino di no. Eppure è quello che facciamo fare alla scuola”.