CORONAVIRUS
Irresponsabili
L'UDC nazionale e la fretta di riaprire tutto alla fine della situazione straordinaria il 19 aprile. I soldi prima della salute nel Paese più ricco del mondo

di Andrea Leoni

Mentre in Ticino contiamo i morti, l’UDC nazionale conta i giorni che  separano il Paese dalla fine della situazione straordinaria, fissata attualmente dal Consiglio Federale per il 19 aprile. E per il primo partito della Svizzera, che dovrebbe avere a cuore ogni regione del Paese, è un esercizio aritmetico piuttosto macabro.

L’obbiettivo è dichiarato con una certa sfacciataggine: riaprire tutto e alla svelta. Quella che lo scorso weekend sembrava solo una sparata del capogruppo Thomas Aeschi, oggi è diventata la posizione dell’intero gruppo parlamentare, con i lodevoli distinguo espressi pubblicamente dai ticinesi Marco Chiesa e Piero Marchesi. Chiaro il messaggio: le ragioni dell’economia, prima della salute. Ribadiamo a chiare lettere: sono posizioni che, in piena emergenza sanitaria, fanno cascare le braccia e indignano. Vediamo perché.

La premessa

In premessa va ricordato che a livello nazionale, i cantieri e le industrie già oggi possono operare, se rispettano le misure d’igiene e di distanza sociale. In Svizzera il lockdown totale non c’è, a differenza del Ticino. Un altro punto essenziale da comprendere è che grazie al sacrificio del nostro Cantone, utilizzato come un laboratorio per cavie, le misure restrittive a livello federale sono state prese con anticipo sulla linea temporale - numero per casi per abitante - rispetto alla nostra regione. Ciò ha permesso di frenare l’epidemia quando vi erano ancora dei margini significativi, al contrario di quanto avvenuto da noi. Si spiegano anche, non solo, così le differenza tra le aree di confine e la Svizzera centrale. Detto questo non vi è alcuna certezza, anzi, che il grosso e il peggio dell’epidemia debba ancora arrivare oltre Gottardo. Inoltre i numeri complessivi del Paese, diffusi ancora oggi (oltre 17’000 casi), non sono affatto rassicuranti e dovrebbero azzoppare ogni presuntuosa fuga in avanti.

L’UDC, ovviamente, accompagna la tesi del “tana liberi tutti” - ovvero la riapertura di negozi,  bar, ristoranti, parrucchieri, etc - con una serie di postille, alcune delle quali peraltro di assoluto buonsenso. Il rispetto delle norme igieniche e di distanza sociale. L’isolamento delle categorie a rischio. L’obbligo d’indossare la mascherina per chiunque esca di casa. La libertà per i Cantoni più colpiti di poter adottare misure speciali.  La chiusura delle frontiere.

L'ideologia liberista

Tutto questo però risulta improprio, sconfortante e prematuro, se inserito nel quadro globale di ciò che stiamo vivendo. Innanzitutto i democentristi propongono la riapertura senza basi scientifiche solide e quando ancora mancano tutta una serie di elementi fondamentali. La proposta è semplicemente il frutto di un’ideologia, quella liberista, al servizio del mercato costi quel che costi (vite umane e pazienti da curare, compresi). Lo abbiamo già visto con il tema del cambiamento climatico. Una parte maggioritaria dell’UDC non discute dei vari modi possibili per affrontare il problema - dalle tasse turboambientaliste, alle più moderate proposte tecnologiche - ma lo nega. E questa non è altro che una terribile falsificazione.

La proposta dell’UDC, per di più, è arrivata nel giorno in cui la Confederazione, con grave ritardo, ha istituito una task force, riunendo le migliori menti del mondo universitario e della ricerca, per offrire basi scientifiche all’autorità politica nel processo decisionale. Anche a Berna si sono accorti che il BAG non gli bastava più. E prima che dai partiti la strada dovrebbe essere indicata dagli scienziati.

Le domande senza risposta

Il secondo errore dell’UDC è di presunzione: credono di conoscere il virus. Invece sono ancora moltissime le risposte ignote. Non sappiamo quanto gente lo ha davvero contratto, con tutto il tema legato agli asintomatici. Non sappiamo se, ed eventualmente in che misura, può realizzarsi l’immunità di gregge. Quindi non sappiamo se chi ha avuto la malattia diventa immune, o fino a che punto e per quanto. E di conseguenza quanto può ancora trasmettere il Covid19 nel caso lo riprendesse. Non sappiamo dopo quanti giorni una persona che non presenta sintomi, non è più contagiosa. Non sappiamo se il caldo avrà un impatto oppure no. E poi chi sono le persone a rischio da isolare? Solo quelle che possono avere gravi complicazioni o anche coloro che sono contagiosi e possono far ripartire l’epidemia?

È semplicemente pericoloso, se non irresponsabile, chiedere la fine delle restrizioni prima che questi ed altri punti vengano chiariti dalla scienza. Serve la massima prudenza, stiamo parlando della vita delle persone! È pericoloso diffondere questo messaggio ai cittadini che, come sta avvenendo in Ticino, fanno sempre più fatica a rispettare le restrizioni.

Non siamo diversi dagli altri

Il terzo punto, infine, sul quale barcolla la tesi dell’UDC, è l’ostinazione di sentirsi diversi dal resto del mondo. Stiamo vivendo una pandemia globale che lega i destini di tutti i cittadini del pianeta. Ciò che accade a Lugano è altrettanto importante di quel che succede a Zurigo, a Madrid, a Napoli, a Parigi o a Berlino (almeno finché sono chiusi gli aeroporti).

Ostinarsi a non capire questa connessione strettissima, credere che sia possibile muoversi autonomamente, all’interno del Paese e rispetto al contesto internazionale, potrebbe rivelarsi l’ennesimo tragico errore. 

Le eventuali riaperture locali potrebbero - potrebbero - realizzarsi, ma solo quando avremo risposte scientifiche più solide, nel momento in cui avremo la capacità di realizzare test a tappeto, eventualmente con l’opzione di sigillare le varie aree del Paese. Ciò che vive oggi la Svizzera centrale - con relativamente pochi casi - è vissuto analogamente da altre regioni di nazioni come l’Italia, la Francia, la Germania, la Spagna. Addirittura all’interno delle stesse aree geografiche si verificano differenze importanti: a Como e Varese sono messi meglio che in Ticino, e meglio ancora rispetto a Bergamo e Brescia. Eppure le restrizioni valgono per tutti i cittadini, proprio perché si temono nuovi colpi di coda del virus e perché non siamo ancora in grado di effettuare interventi mirati ed efficaci.

La lezione cinese

Continuiamo a pensare che la Cina può insegnarci molto.  Non in tutto il suo immenso territorio sono state adottate misure restrittive identiche. Ma sappiamo che nella regione dell’Hubei (60 milioni di persone) il lockdown è durata 60 giorni e solo ora, con i casi ridotti al lumicino, sono state revocate le misure restrittive sui viaggi interni ed esterni. Questo allentamento è stato però concesso, eseguendo parallelamente controlli a tappeto e avvalendosi della tecnologia per la tracciabilità e l’isolamento dei positivi. Nonostante queste misure, tutti sperano di non dover fare i conti con una seconda ondata troppo violenta.

All’inizio pensavamo che il Coronavirus se ne sarebbe restato in Cina, ed è uscito. Poi ci siamo illusi che avessimo tempo per organizzarci, ed era già qui. Poi abbiamo creduto che fosse solo un’influenza, ed era peggio. Poi ci siamo detti che il lockdown non era replicabile in una democrazia occidentale, e oggi tutta Europa è chiusa. Perché mai, ora, dovrebbe accadere qualcosa di diverso?

Lo scriviamo ormai da giorni: scegliere come riaprire sarà molto più difficile di quanto è stato chiudere. Quello che è certo, però, è che sarebbe imperdonabile una ricaduta a causa della fretta o della smania delle lobby economiche. Lo sarebbe sia psicologicamente per i cittadini, sia per l’economia stessa, e non parliamo di tutte le persone che da un mese si battono quotidianamente al fronte.

Il Paese più ricco del Mondo e la giusta battaglia

Siamo il Paese più ricco del mondo, possiamo stampare moneta, e abbiamo tutte la forza finanziaria per sopportare questa crisi “a qualunque costo”, per dirla come Mario Draghi. I 60 miliardi che furono  stanziati per UBS non  sono ancora stati messi sul piatto in questa crisi, ma c’è da attendersi che l’assegno finale sarà molto più ricco. Un artigiano della Campania o della Calabria, può essere seriamente preoccupato per il futuro. Uno di Zurigo o di Bellinzona, no. 

Non confondiamo le battaglie: se gli aiuti non sono abbastanza, chiediamone di più (oggi ne sono già stati annunciati di nuovi dal Consiglio Federale), ma non cadiamo nel tranello di dover scegliere tra il diritto alla salute e quello al lavoro o al sostentamento. A meno che non ci sia qualcuno che voglia trasformare la Svizzera nell’IIva di Taranto!

Il semplice buonsenso suggerisce che ad aprile dobbiamo resistere, osservare e prepararci. A maggio, speriamo, verrà il tempo di decidere.

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