CORONAVIRUS
Gli esperti svizzeri: “Non sappiamo se i bambini possono trasmettere il virus. Affermare il contrario è scorretto”
La Task Force Covid19 della Confederazione pubblica uno nuovo studio: "Di fronte a questa incertezza, riteniamo che l'adozione di un principio precauzionale sia la posizione più appropriata"

BERNA - “Non sappiamo se i bambini possono trasmettere il virus. Affermare il contrario è scientificamente scorretto”.

Sono parole inequivocabili quelle che la Task force Covid19 della Confederazione, mette nero su bianco in uno studio pubblicato oggi. Una presa di posizione che smorza quanti a Berna e a Bellinzona, nelle ultime settimane, hanno sostenuto, urbi et orbi, che i bambini non sono contagiosi. Una teoria che, non troppo sorprendentemente, ha cominciato a prendere piedi nell’imminenza della riapertura delle scuole dell'obbligo fissata per il prossimo 11 maggio.

La Task Force, voluta dal Consiglio Federale e presieduta dal  Professor Matthias Egger, riunisce le migliori intelligenze del Paese e fornisce indicazioni multidisciplinari al Governo per meglio affrontare la crisi. Lo studio, intitolato “Il ruolo dei bambini nella trasmissione del Sars-Cov2”, è stato pubblicato oggi sul sito dell’agenzia (clicca qui).

In premessa la ricerca riassume il dibattito scientifico internazionale attualmente in corso sulla questione, riportando studi e dati che forniscono indicazioni contraddittorie quando non opposte. L’incertezza, insomma, è totale e globale.

“Per l’influenza - scrivono gli studiosi - è risaputo che i bambini sono un fattore trainante per la diffusione del virus. Per il COVID-19, invece, le prove attuali non sono sufficienti per rispondere in modo conclusivo, con le informazioni che tendono a mostrare che i bambini non sono il principale motore dell'epidemia ma sono coinvolti nella trasmissione. Pertanto, attualmente non è corretto supporre che i bambini non trasmettano il virus Sars-Cov2. Ciò crea una situazione di "decisione in condizioni d’incertezza" durante l'elaborazione di politiche relative ai bambini e sottolinea l'urgenza di ottenere prove affidabili”.

Tre punti chiari

“Sulla base delle prove esistenti - scrivono gli esperti - concludiamo quindi che:

1. La prova della capacità dei bambini di trasmettere il virus Sars-Cov2 o di non trasmettere il virus Sars-Cov2 è attualmente molto scarsa. Anche se sembra che i bambini non siano i principali motori di questa epidemia, il loro ruolo nella trasmissione rimane aperto e tutte le prove non sono al momento sufficientemente solide.

2. Al momento non possiamo fornire forti conclusioni sul fatto che i bambini possano o meno trasmettere il virus Sars-Cov2,

3. L'assenza di prove non è prova di assenza: non si può presumere che i bambini non trasmettono il virus.

“Scientificamente scorretto dire che i bambini non trasmettono il virus”

L’indicazione, insomma, è chiarissima: non lo sappiamo. Tuttavia occorre comunque procedere con delle politiche e delle misure sociali, in attesa che il processo scientifico faccia il suo corso.

“Ciò che è certo - scrivono gli esperti - è che è scientificamente scorretto supporre che "i bambini non trasmettano” il virus. Di fronte a questa incertezza, riteniamo che l'adozione di un principio precauzionale sia la posizione più appropriata. Vale a dire: dobbiamo accettare la possibilità che i bambini possano trasmettere il virus e adottare misure per ridurre al minimo le conseguenze di questa trasmissione”.

La scuola: un conflitto di valori

Fin qui la parte più strettamente sanitaria. Ma lo studio della task force si china anche, e abbondantemente, sul tema della riapertura delle scuole.

“La questione se e quando aprire le scuole in condizioni di incertezza - si legge nel rapporto - è un conflitto di valori. Tutti i bambini hanno diritto a un'istruzione di base gratuita e adeguata, disponibile per tutti i bambini (articoli 19 e 62 della Costituzione). L'istruzione preprimaria e primaria nell'apprendimento a distanza non è sostenibile e influisce negativamente sull'uguaglianza delle possibilità. Quanto più a lungo si prevede che l'epidemia durerà, tanto più diventerà importante consentire il diritto all'istruzione da attuare senza attendere il completo ritorno della sicurezza. Al fine di ridurre il costo morale della riapertura delle scuole, dovranno essere attuate misure volte a ridurre la trasmissione all'interno delle scuole”.

“Serve chiarezza verso genitori e insegnanti, anche sui rischi”

“Poiché l'incertezza è difficile da affrontare - proseguono gli scienziati - la chiarezza dovrebbe essere l'obiettivo quando possibile. Ad esempio, sembra esserci una necessità cruciale di prendere e comunicare decisioni relative agli esami e alla valutazione a tutti i livelli di istruzione. Prima della riapertura delle scuole, agli insegnanti, ai genitori e agli studenti devono essere fornite tutte le informazioni pertinenti (incluso ciò che è noto e sconosciuto riguardo ai rischi)”. 

Misure per le scuole

A questo punto lo studio fornisce una serie di raccomandazioni legate alle aperture. Qui ne riportiamo alcune:

• Limitare il numero di bambini per classe nelle scuole (massimo 15)

• Ridurre il numero di ore di scuola al giorno o il numero di giorni di scuola;

• Impedire la miscelazione tra le classi durante la ricreazione

• Chiudere o ridurre al minimo la partecipazione dei bambini alle strutture del dopo la scuola;

• I bambini devono intraprendere la strada più diretta da casa a scuola e ritorno

• Bambini e insegnanti evitano l'uso dei mezzi pubblici ove possibile, portando mascherine quando li utilizzano

I genitori riducono al minimo il tempo trascorso nei locali della scuola e aderiscono rigorosamente all'igiene e regole di allontanamento sociale, se a scuola

• Nessun contatto fisico tra i bambini

• Nessuna stretta di mano con gli insegnanti

Le sedi scolastiche devono potersi gestire in modo flessibile

“È anche importante - raccomandano gli esperti - riconoscere che scuole diverse necessitano di soluzioni diverse, a seconda delle dimensioni, dello spazio, del numero di studenti, della popolazione degli insegnanti, delle esigenze di trasporto, ecc. Le scuole devono poter gestire la normalizzazione in modo flessibile. Tali piani devono essere presentati e controllati prima di essere attuati e adeguatamente monitorati a livello cantonale. Dovrebbero essere istituiti sistemi di allarme e meccanismi di denuncia.

L'urgenza di un programma di test dedicato 

Infine, gli studiosi mettono l’accento su un ultimo aspetto cruciale: “L'assenza di prove conclusive sul ruolo dei bambini nella trasmissione evidenzia ulteriormente l'urgenza di ottenere dati affidabili su tale questione. Determinare con precisione l'assenza di un ruolo dei bambini nella trasmissione consentirà la riapertura completa della scuola, renderà le misure di allontanamento sociale nei bambini meno gravi ed escluderà che le scuole possono influenzare negativamente l’epidemia".

“Pertanto - termina la ricerca - chiediamo che la riapertura delle scuole sia accompagnata da un protocollo di ricerca rapida e in tempo reale. Ciò dovrebbe comportare la ripetizione di test su un campione di scolari, insegnanti e altri impiegati delle scuole per accertare la presenza dell’infezione, il tasso di acquisizione di nuova infezione tra i bambini e il monitoraggio dell'infezione tra gli adulti a stretto contatto con grandi gruppi di bambini. Questo approccio potrebbe fornire un'indicazione precoce sulla diffusione dell'infezione tra e dagli scolari”.

Conclusione

Questo studio, come abbiamo visto, mette tanta carne al fuoco, sia dal punto di vista sanitario che sociale. Le misure da adottare per una riapertura - quanto più in sicurezza possibile - della scuola sono molte, vanno cucite quasi istituto per istituto, e necessitano di un processo di condivisione tra insegnanti, genitori e Cantone.

Pretendere, come si vuol fare in Ticino, di avviare questo enorme transatlantico in quattro e quattr’otto, pare avventato e rischioso, per usare un eufemismo. Soprattutto per i pochi giorni - appena 13 per ogni allievo delle elementari - che verrebbero garantiti. 

Un processo di apertura, debitamente preparato con il coinvolgimento reale di tutti gli attori, necessita di un po’ di tempo. In Ticino questo tempo lo avremmo tranquillamente avuto, rimandando a settembre la riapertura e cominciando a fare delle piccole prove con gli allievi di fine ciclo, come suggerito da Lugano e Locarno. Potevamo anche sfruttare il vantaggio di osservare ciò che succederà nel resto della Svizzera, dove le scuole hanno calendari diversi dal nostro e le vacanze cominciano più in là. Invece il Governo s’è impuntato in modo irragionevole. Ed è un peccato.

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