CORONAVIRUS
La favola dei bambini che non sono infettivi... Ecco cosa dice lo studio di Berlino. Il Prof Cerny: "Avrei rimandato le scuole a settembre"
Roberto Burioni: “Sono un serbatoio ideale per il virus". Il direttore dell’Epatocentro: “Tra gli elementi che hanno amplificato la pandemia in Ticino probabilmente anche il rientro a scuola dopo carnevale”
TiPress/Pablo Gianinazzi
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LUGANO - “La riapertura delle scuole potrebbe essere un problema e abbiamo fatto bene a tenerle chiuse per limitare l’epidemia”. Lo scrive sul magazine di informazione scientifica Medical Facts, il virologo italiano Roberto Burioni, che ieri sera intervistato da Fabio Fazio ha ribadito: “I bambini sono un serbatoio ideale per il virus, la loro carica virale è uguale a quella degli adulti ma non presentano sintomi gravi”.

 

In sostanza, sono dei potenziali asintomatici in grado però di contagiare altre persone allo stesso modo degli adulti. Il professor Burioni cita due studi, uno tedesco e uno svizzero, che smentiscono le tesi di chi, su basi poco solide, continua a sostenere che i bambini non sono contagiosi. Tesi sbandierata nel nostro Paese a sostegno della riapertura delle scuole lunedì prossimo.

 

“Un’indicazione chiara a riguardo – scrive Burioni - emerge da uno studio condotto da Christian Drosten, virologo della Charité di Berlino, e consigliere del governo tedesco per questa pandemia, che ha analizzato la quantità di virus presente nella gola di oltre 3.700 pazienti infettati da coronavirus per capire se la essa cambia con l’età.

 

Il responso è stato chiarissimo: i bambini e gli adolescenti hanno una carica virale sovrapponibile a quella degli adulti e – per quanto possiamo saperne a questo punto – sono infettivi quanto gli adulti e hanno un ruolo nella trasmissione del virus tanto importante quanto quello degli adulti.

I dati di questo lavoro scientifico, molto ben fatto, suggeriscono che i bambini s’infettano e trasmettono la malattia, e per fortuna non si ammalano. Per cui costituiscono un rischio notevole per i genitori e soprattutto per i nonni”.

 

Lo stesso aspetto, aggiunge Burioni, “è stato affrontato da colleghi dell’Università di Ginevra, che si sono focalizzati proprio sui bambini. Aggiungendo, però, un dettaglio. Hanno infatti provato a far crescere in laboratorio il virus presente nei soggetti studiati. E ci sono riusciti in più del 50% dei casi (una percentuale simile a quella osservata negli adulti) confermando in modo diretto che il virus presente nella gola e nel naso dei bambini può infettare. I dati dei colleghi tedeschi lo facevano sospettare fortemente; i dati svizzeri lo evidenziano in modo definitivo”.

 

Anche la Task force Covid19 della Confederazione, presieduta dal Professor Matthias Egger, in un rapporto dal titolo “Il ruolo dei bambini nella trasmissione del Sars-Cov2” pubblicato il 1° maggio aveva messo in guardia la politica: “Non sappiamo se i bambini possono trasmettere il virus. Affermare il contrario è scientificamente scorretto”.

 

Lo studio di Berlino: “Bambini infettivi come gli adulti”

 

“I bambini – scrivono i ricercatori tedeschi - sono sottorappresentati negli studi clinici e meno frequentemente diagnosticati, a causa di lievi o sintomi assenti”.

 

Inoltre, a rendere i bambini meno propensi a portare il virus nelle famiglie “è il fatto che gli asili e le scuole sono stati chiusi all'inizio dello scoppio dell’epidemia in Germania. Questi effetti combinati fanno sì che i bambini abbiamo più probabilità di ricevere piuttosto che diffondere infezioni nelle famiglie. E questa osservazione può essere fraintesa come un'indicazione del fatto che i bambini sono meno infettivi degli adulti”.

In realtà, si legge nello studio berlinese, “le cariche virali osservate, suggeriscono che il potenziale di trasmissione nelle scuole e negli asili nido devono essere valutati utilizzando le stesse ipotesi di infettività degli adulti”.

 

Noi raccomandiamo, concludono i ricercatori tedeschi, “di raccogliere e valutare più dati sulla carica virale dei bambini per ottenere risultati più solidi” e “dobbiamo mettere in guardia contro una riapertura illimitata di scuole e asili nella situazione attuale, perché i bambini possono essere contagiosi come gli adulti”.

 

Il Prof Cerny: “Avrei rimandato le scuole a settembre”

 

Il professor Andreas Cerny, direttore dell’Epatocentro Ticino, condivide le conclusioni dello studio tedesco e il parere della Task Force federale: “La base scientifica per dire che i bambini fino a 9 anni non vengono infettati e non trasmettono il Covid19 è molto, molto fragile – dice a liberatv -. Anche dal profilo della fisiologia delle malattie virali non abbiamo argomenti per sostenerlo. Il rapporto della Task Force interpreta i dati in maniera corretta e parla a favore di aperture molto controllate e lente. Gli esperti federali non si pronunciato sulla fascia di età superiore ma il professor Marcel Tanner in un’intervista pubblicata recentemente diceva che anche gli adolescenti possono trasmettere il virus facilmente e sono spesso asintomaticamente infetti”.

 

Cerny ritiene che lo studio australiano citato da “Mister Coronavirus”, Daniel Koch, a sostegno della riapertura delle scuole si fonda su dati incompleti o parziali. Secondo il direttore dell’Epatocentro, gli elementi che hanno amplificato la pandemia in Ticino sono probabilmente non solo la vicinanza e gli scambi con la Lombardia e il Rabadan, ma anche il rientro a scuola dopo le vacanze carnevale. Mentre nelle città più colpite di oltre Gottardo il virus è stato importato dal turismo, dai viaggi d’affari e dagli studenti internazionali.

 

“Il virus si sceglie la popolazione dove riesce meglio a propagarsi – afferma il professore -. Ecco perché bisogna fare un passo alla volta quando si decide di riaprire le attività. Invece da due settimane si stanno facendo troppe cose nello stesso momento e quando l’epidemia ripartirà avremo troppi casi per fare il contact tracing. Rischieremo dunque di perdere il controllo sull’epidemia e sui focolai di contagio, con il risultato che non sapremo quali settori di attività chiudere per contenerla. Speriamo che la meteo ci salvi o che si trovi un medicamento efficace da somministrare a chi è infetto. Ma è una speranza molto rischiosa…”.

 

Cerny spiega che “ogni passo di apertura porta a nuovi casi dopo due o tre settimane, e dunque la lunghezza dei passi della ripresa va commisurata su questi tempi. Distanziare ogni apertura di due o tre settimane era infatti la road map della Task Force federale, ma qualcuno ha premuto per cambiare strategia”.

 

Riaprendo tutto contemporaneamente, non saprai più se è il passo A o B che ha fatto ripartire l’epidemia, aggiunge Cerny. “Già a inizio marzo abbiamo perso il tracciamento, che ad oggi rimane lo strumento più importante per evitare una seconda ondata drammatica di Covid19. Quindi, bisogna rallentare il passo delle riaperture. Non sono un economista, ma aprire le scuole non mi pare economicamente rilevante, avrei quindi rimandato questo passo a settembre”.

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