Fabio Regazzi non ha dubbi: l'industria ticinese non potrebbe sopravvivere a un nuovo lockdown. "I disoccupati sono già 50mila in più rispetto a un anno fa, nonostante il lavoro ridotto, che come i prestiti è una misura ponte"
BELLINZONA – È scontato affermare come l’ipotesi di un secondo lockdown, con nuove chiusure di interi settori preoccupa e non poco il mondo dell’economia ed anche dell’industria. Fabio Regazzi, presidente di AITI (Associazione Industrie Ticinesi), descrive una situazione già complessa.
“Una eventuale nuova chiusura sarebbe fatale per noi. Quindi è un’opzione che non possiamo neanche prendere in considerazione”, dice senza mezzi termini al Corriere del Ticino. Spiega di sentire pareri ottimistici sul momento vissuto dall’industria da parte di istituti economici, smentite però da chi è sul campo.
Il futuro che vede non è roseo, tenuto conto del fatto che la crisi è globale e dunque è difficile anche trovare mercati esteri dove esportare. “Il lavoro ridotto e i crediti COVID rappresentano misure ponte, e quindi decadranno. E da lì in avanti, se non ci sarà una ripresa robusta, come probabile, non c’è altra possibilità che adattare anche la manodopera ai nuovi volumi di lavoro. Io penso che ci saranno fallimenti e ristrutturazioni”, ammette. Già a settembre i disoccupati erano 50mila in più rispetto a un anno fa, nonostante l’ampio ricorso al lavoro ridotto.
“Forse l’aspetto più critico non sono tanto le difficoltà in sé ma l’incertezza, che è un veleno per l’attività imprenditoriale. Siamo tutti in un limbo che ci destabilizza”, aggiunge.