Manuele Bertoli risponde a stretto giro di posta alla lettera del presidente del Movimento della scuola, sottolineando le mosse fatte da quando è alla direzione del DECS per sostenere gli allievi più deboli e nel progetto La scuola che verrà
di Manuele Bertoli*
Caro presidente del Movimento della scuola,
rispondo volentieri alle sue domande pubblicate oggi sul Caffè, usando questo canale.
1) La condizione di difficoltà degli allievi più fragili. Se nella didattica a distanza (come anche lei ha ammesso) essi sono stati le principali vittime della chiusura, oggi soffrono pure in questa particolare condizione di "scuola in presenza" dove le mascherine e le misure di prevenzione, il ricorso a piattaforme informatiche e l’impossibilità di una diversa prossemica ostacolano un accompagnamento pedagogico mirato. Ne fanno le spese soprattutto gli allievi di classi sociali sfavorite. Lo Stato ha il dovere di intervenire con risorse che permettano ai docenti di riferimento, senza sovraccarico orario, di proporre specifiche forme di sostegno. Ne va del principio di legge secondo il quale la scuola si prefigge "di correggere gli scompensi socio-culturali e di ridurre gli ostacoli che pregiudicano la formazione degli allievi" (LdS, art.2).
Risposta: Come lei sa bene sono anni che insisto nella direzione delle maggiori risorse per la scuola dell’obbligo, proprio perché la condizione degli allievi più fragili, accanto a maggiori possibilità per quelli più bravi, è determinante per raggiungere l’obiettivo a cui fa cenno. Questo non solo in tempi di pandemia. Ricordo la riduzione da 25 a 22 del numero massimo di allievi per classe alla scuola media, proposta avanzata durante la mia prima legislatura (sono alla terza), bocciata dal Gran Consiglio nel 2013 e poi finalmente accolta sette anni dopo, nel 2020. Ricordo la proposta di docenti di appoggio nelle scuole comunali, anch’essa ridotta a semplice facoltà dal Gran Consiglio nel 2013 e poi accolta sette anni dopo nel 2020, dopo un cammino difficile per raggiungere un consenso sufficiente.
Ricordo La scuola che verrà, con molte ore di laboratorio alla scuola media (a metà classe) e i docenti risorsa alle scuole comunali, bocciata dal popolo nel 2018 con una sostanziale non adesione da parte del movimento che lei presiede, ricordo la cantonalizzazione dei docenti di sostegno, la prossima cantonalizzazione dei docenti di lingua e integrazione, l’importante aumento di investimenti nel settore della pedagogia speciale.
Sono tutte cose che non possono essere improvvisate, che non sono attivabili solo in tempi di pandemia (non ci sono 100 specialisti pronti ad entrare in servizio nel giro di qualche settimana anche se avessimo le risorse per assumerli), che bisogna prevedere per la gestione ordinaria e che io ho cominciato da subito ad attivare, nel 2011 quando sono arrivato alla direzione del DECS, fermandomi solo di fronte ai niet governativi, parlamentari o popolari. Siccome accenna all’empatia, forse una sola parolina di riconoscimento in questa direzione anche da parte sua non guasterebbe, perché come lei ha senza dubbio già sperimentato, l’empatia funziona quando è reciproca, non solo quando è pretesa da chi sostanzialmente non la manifesta mai o sembra non conoscerla.
2) L’ingresso massiccio delle nuove tecnologie sta cambiando forme e modi della relazione formativa nonché il concetto stesso dell’"essere a scuola". Non ci si può limitare a proporre corsi d’aggiornamento tecnici sull’uso didattico delle piattaforme informatiche. Occorre avviare, senza indugio, una riflessione partecipata su come le tecnologie cambino la relazione educativa e la processazione cognitiva , su come modifichino il lavoro dell’insegnante e ne mutino il profilo.
Risposta: Sono d’accordo, aspetterei la fine di questo periodo particolare per farlo più compiutamente, ma ho sempre insistito sulla necessità di usare le tecnologie per il valore aggiunto che possono dare alla scuola, arricchendola e non impoverendola. Il tema per il Dipartimento è comunque molto chiaro.
3) La crisi determinata da questa emergenza può essere utile per tornare a riflettere sui contenuti essenziali dell’insegnamento. Da troppi anni l’attenzione è rivolta soprattutto alle forme didattiche e alle strutture, al monitoraggio del sapere competenziale, mentre sul piano dell’identità pedagogica ci si è supinamente accodati alle visioni dell’Ocse. Questa è invece l’occasione per sganciarsi da logiche di mera funzionalità conoscitiva per riscoprire i valori che stanno alla base dello sviluppo intellettuale della persona. Si metta in cantiere, con il contributo delle associazioni magistrali, una riflessione sull’essenzialità dell’impegno scolastico, contrastando la visione di una scuola-servizio che nell’ambizione di assumere mandati educativi plurimi corre il rischio di una scarsa significanza culturale.
Risposta: Non concordo con la sua visione, proposta da ormai molti anni e tesa ad identificare la scuola delle competenze con il presunto “neoliberismo” dell’OCSE. Mi stupirebbe sapere che lei ignora che l’educazione per competenze nasce ben prima del neoliberismo, in un’epoca in cui la scuola “tradizionale” si conformava ai modelli industriali dell’epoca (taylorismo), proponendo modelli pedagogici alternativi, restati purtroppo a lungo ai margini della scuola ufficiale. Il fatto che tardivamente il mondo dell’economia si sia accorto della superiorità di una scuola “attiva”, influenzando quindi la scuola pubblica, ma in un modo da sempre auspicato dai pedagogisti progressisti, quindi positivo secondo la sua e la mia visione, non può in alcun modo screditare un ideale di scuola che resta valido, con o senza il sostegno del mondo economico. Aggiungo che queste pedagogie, nonché le “forme didattiche” che ne conseguono, sono particolarmente mirate al sostegno e allo sviluppo degli allievi più fragili a cui lei ed io teniamo particolarmente.
4) Nell’immediato poi, anche per garantire condizioni utili al mantenimento di una didattica in presenza, perché non affrontare pubblicamente la questione della vaccinazione degli insegnanti o la possibilità di un’estensione generalizzata dei test molecolari a studenti e docenti?
Risposta: Sono questioni che ho già posto alle autorità sanitarie, responsabili di queste scelte. Finora le decisioni sono di rimanere al piano di vaccinazione del Governo federale e di usare i test solo in occasioni particolari.
*Consigliere di Stato PS, Direttore del DECS