CORONAVIRUS
Passaporto vaccinale anche in Svizzera? "Se arrivasse, ci sarebbero delle attività che i non vaccinati non potrebbero più compiere"
La vicepresidente della task force anti Covid sostiene che la misura dovrà arrivare anche da noi se altri paesi decideranno di introdurla, soprattutto per quanto concerne i viaggi. E il resto?

BERNA - Il passaporto vaccinale potrebbe davvero diventare una realtà. Chi si sarà fatto vaccinare potrà dunque accedere a attività e servizi negati a chi invece avrà scelto altrimenti: Manuele Bertoli, che lo sostiene, era stato chiaro, dicendo che andare allo stadio o al cinema non è obbligatorio.

Il Corriere del Ticino ha interpellato la vicepresidente della task force COVID 19 Samia Hurst-Majno, che concorda col fatto che probabilmente anche la Svizzera dovrà adottare la misura, se essa verrà introdotta in altre parti del mondo. Un settore toccato sarà quello dei viaggi. "È molto probabile che diversi Paesi stranieri in futuro richiederanno una prova di vaccinazione anti-COVID per entrare sul loro territorio. È solo una questione di tempo. Quindi anche la Svizzera sarà toccata dal provvedimento". Il nostro Paese a quel punto potrebbe a sua volta decidere di far entrare nel suo paese solo chi ha il passaporto.

Ma la domanda, che si pone anche Hurst-Majno, è quali altre ripercussioni un documento simile potrebbe avere. Nell'intervista, non parla mai esplicitamente di vietare per esempio l'ingresso allo stadio o al cinema a chi non lo avrà, per usare gli esempi citati da Bertoli. 

Precisa che i diritti dovranno averli tutti, vaccinati e non, altrimenti equivarrebbe di fatto a introdurre l'obbligo di vaccinarsi. Insomma, un bel problema giuridico. "Per esempio, penso all’accesso alle derrate alimentari e all'accesso al voto. Questi sono diritti fondamentali che devono essere garantiti a tutti. Poi ci sono altri servizi che sono meno fondamentali. La riflessione ruota attorno a dove mettere questa linea di demarcazione, tra ciò che è fondamentale e ciò che non lo è. L’obiettivo comunque è garantire a chi non si vaccina una vita “decente”. Non posso dire “normale”, perché ci saranno delle attività che i non vaccinati non potranno compiere, come i viaggi dove vige l’obbligo", spiega. 

Già, ma altre attività? "Mentre il settore pubblico per legge non può impedire l’accesso a prestazioni come la scuola o la sanità in funzione dello statuto vaccinale, il quadro legale del settore privato è differente", aggiunge, facendo notare che se un privato desidera trattare in modo diverso chi è vaccinato da chi non lo è lo potrà presumibilmente fare. 

"Dal punto di vista etico, ci sono due grandi criteri. Il primo è quello dell’essenzialità di un’attività. Se è essenziale dobbiamo renderla accessibile a tutti. I negozi di alimentari, per esempio. Il secondo criterio è il grado di facilità con cui possiamo rendere sicura un’attività. Più è facile renderla sicura, più dobbiamo renderla accessibile a tutti", prosegue. Non si sa quali attività potranno essere rese sicure, per dirla con parole sue. Lei cita come esempio un festival all'aperto.

Ma certamente il dibattito, dal punto di vista sanitario, etico, legale e pratico sarà intenso. Tenendo presente, ovviamente, le possibili problematiche legate alla privacy. 

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