CORONAVIRUS
L'appello della Camera di Commercio: "Dal 1° marzo occorre riaprire"
"Attenzione a voler allungare la strada delle limitazioni, stiamo marciando con scarpe che già evidenziano segni di usura"
© Ti-Press / Francesca Agosta

TICINO – In data odierna l’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) ha presentato una strategia e una chiara richiesta di riapertura delle attività economiche per il prossimo 1° marzo. “In sostanza – si legge in un comunicato della Camera di Commercio ticinese –, il rispetto delle misure di protezione (distanze, mascherina, igiene delle mani), sommato al contact tracing, ai test a tappeto e alle vaccinazioni, dovrebbe permettere di porre fine alle limitazioni attuali. La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino, quale associazione mantello dell’economia ticinese e, al contempo, Sezione ticinese dell’USAM, sostiene senza riserve tale richiesta”.

“In questo anno di crisi pandemica – recita la nota – le aziende hanno dimostrato alto senso di responsabilità, rispettando le istruzioni delle autorità e predisponendo le misure di protezione richieste, investendo anche molti soldi. Malgrado questo vi sono state chiusure inspiegabili e contradditorie. È evidente che le misure di gestione della crisi sanitaria vanno decise sulla base di fatti, non di tentativi. E i fatti indicano che, fortunatamente, la curva dei contagi è in calo, che attualmente le strutture sanitarie dispongono delle riserve necessarie, ma, al contempo, che purtroppo una chiusura prolungata ha creato, e sta creando, gravissimi danni economici. Questo non significa non tenere conto delle mutazioni del virus che attualmente preoccupano tutti noi, ma la chiusura ad oltranza non può più essere l’unica strategia. Proprio per evitare di dover sopportare ulteriori conseguenze negative per i nostri posti di lavoro, per il nostro benessere, e, non in ultima analisi, per le nostre vite, a partire dallo scadere previsto il 1° marzo delle misure di chiusura attualmente in vigore, l’economia deve poter ripartire”.

“Non si intravvedono valide ragioni per non farlo, soprattutto laddove il rispetto delle misure di protezione è garantito. Premesso ovviamente che, come andiamo ripetendo da ormai un anno, la tutela della salute di tutti, compresi le lavoratrici e i lavoratori continua a rappresentare un obiettivo primario ed indiscusso. Pensiamo pure alle pesanti conseguenze determinate dalle limitazioni, che tengono in ostaggio le giovani generazioni, impedendo loro di appropriarsi del loro futuro. Come già ripetutamente sottolineato, nel settore lavorativo sono state da tempo introdotte efficaci regole comportamentali atte a evitare i contagi. Grazie a queste norme sappiamo che, in generale, sono piuttosto gli assembramenti incontrollati e i comportamenti individuali non conformi alle regole a essere problematici. Laddove esistono chiare ed efficaci istruzioni, non è pertanto opportuno mantenere divieti di attività. In un momento in cui non è possibile dare certezze assolute, le aziende ticinesi hanno bisogno perlomeno di una prospettiva”.

E ancora: “È pertanto indispensabile che il Consiglio federale dichiari già sin d’ora la riapertura per il prossimo 1° marzo delle attività che garantiscono il rispetto delle norme di sicurezza vigenti. L’attività economica necessita di una chiara visione e la riapertura va annunciata con un sufficiente anticipo per permettere alle nostre aziende di organizzarsi al meglio. Ribadiamo che le aziende sono pronte, da tempo, a farsi trovare pronte con le opportune misure di protezione aggiornate, dove è il caso. Le imprese sono anche disponibili per avere un ruolo attivo in termini di vaccinazione e di test a tappeto, qualora l’autorità cantonale ritenesse opportuno il loro coinvolgimento come già avviene in parte in altri cantoni. È però fondamentale che il Consiglio federale presenti, a più di un anno di distanza, una chiara visione per la ripartenza, nella quale l’attività economica non sia relegata in secondo piano, ma sia una componente essenziale, parallelamente alle puntuali valutazioni sanitarie, anche per le implicazioni sociali delle unità lavorative. Ulteriori chiusure non suffragate da fatti chiari non sono pertanto né accettabili né sostenibili. Attenzione a voler allungare la strada delle limitazioni, stiamo marciando con scarpe che già evidenziano segni di usura.

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