Gli autori sono la giornalista milanese Federica Bosco e Stefano Piazza, che qualche anno fa ha creato l’Associazione Amici delle Forze di Polizia Svizzere
Il titolo è “Sbirri maledetti eroi”. Il sottotitolo: “Storie di coraggio delle forze dell’ordine”. Gli autori sono la giornalista milanese Federica Bosco e Stefano Piazza, che qualche anno fa ha creato l’Associazione Amici delle Forze di Polizia Svizzere. Il saggio, pubblicato dalle Edizioni Paese, è stato presentato venerdì sera all’Auditorium di BancaStato a Bellinzona e sarà in libreria nei prossimi giorni.
Alla serata che ho avuto l’onore di moderare, oltre agli autori, hanno partecipato Max Hofmann, segretario generale della Federazione funzionari di polizia, e Dimitri Bossalini, comandante della Polizia di Locarno e presidente dell’Associazione polizie comunali.
La prefazione firmata dal ministro italiano dell’Interno, Matteo Salvini, e la postfazione affidata al direttore di ‘Libero’, Vittorio Feltri, hanno fatto storcere il naso a qualcuno, che ha etichettato questo libro come un “prodotto di destra”.
Del resto, se in una parte della politica e dell’opinione pubblica (in Italia come in Svizzera) c’è chi da sempre difende le forze dell’ordine, ritenendole uno dei cardini e dei garanti dello stato democratico, dall’altra c’è chi al solo vedere una divisa – poliziotto, carabiniere, gendarme, guardia di confine e quant’altro - viene preso da un irrefrenabile prurito ideologico.
Sappiamo che per storia la Polizia è un’istituzione controversa. E la sua gestione è delicatissima, perché è il braccio armato della legge. O dello Stato. E gli stati (e di conseguenza i codici), sono molti e molto diversi. Spesso ingiusti e repressivi.
In diverse epoche e nazioni e sotto diversi regimi la Polizia è stata utilizzata per reprimere proteste o rivolte, per soffocare i diritti democratici (come l’esercito, del resto). Per spiare, per schedare i "cattivi", gli eversivi, i contestatori... E il marchio “sbirri bastardi” si è tramandato di generazione in generazione, suscitando a volte paura, sospetto, sfiducia, quando non addirittura odio e terrore in molte fasce della popolazione.
In ogni caso, i poliziotti erano e sono “bastardi” per i mafiosi, per i terroristi, per i fondamentalisti religiosi, per i criminali, per gli ultras esagitati di qualsiasi tifoseria, e per tutti coloro che vorrebbero poter dettare le regole della convivenza sociale a loro vantaggio e senza render conto a nessun potere costituito.
Però, quando succede qualcosa di grave, quando ci sentiamo persi e indifesi, quando ci minacciano, ci aggrediscono, ci derubano, i poliziotti diventano santi ed eroi. Per tutti. O quasi. E allora, proviamo a invertire il paradigma, e a dire chiaramente che i bastardi sono loro, quelli là, e non i poliziotti.
Se bisogna combattere chi per pregiudizio vede nelle forze dell’ordine un nemico, bisogna però anche evitare di cadere nella retorica della glorificazione. E bisogna sradicare e stroncare sul nascere ogni germe potenzialmente epidemico – che sia di razzismo, di violenza o di neofascismo – dalla testa di chi fa questo mestiere.
Ma oggi, nell’Occidente europeo, sostanzialmente indenne (o almeno vaccinato e dunque premunito) da infiltrazioni di estremismo ideologico (fatto salvo il fideismo becero e medievale di chi sogna un mondo schiavo dell’Islam), la Polizia va senza dubbio valutata sotto una nuova luce. E va rivalutata, difesa e sostenuta.
Oltre ai martiri e agli eroi, oltre alle migliaia di caduti sotto il fuoco della mafia, del terrorismo di ogni matrice e colore, del narcotraffico, della criminalità comune, ci sono uomini che dedicano la loro vita quotidiana a un mestiere pericoloso e difficile, spesso per una paga da fame (malissimo, perché pagar male chi serve lo Stato apre le porte ai corruttori).
Sono uomini e donne che alla fine della giornata si portano spesso a casa insulti, delusioni, disillusioni, quando non sputi in faccia e minacce… Ma queste sono soltanto ferite morali, perché poi ci sono anche i poliziotti che finiscono in ospedale, o dallo psichiatra, o peggio al cimitero…
Diciamocelo: gli sbirri ci stanno sulle balle quando ci fermano per un controllo (gomme, bollino autostradale, cinture, da dove viene, dov’è diretto, eccetera), o quando ci insidiano con le postazioni radar, o ci tendono tranelli aspettandoci all’uscita del bar con la classica domanda “Ha bevuto?”, o ci multano per divieto di sosta o per il parchimetro scaduto, o quando ci bussano alla porta per dire di far meno casino…
Legittimo e sacrosanto: la Polizia non è e non deve essere immune da critiche. Sta a chi la comanda, e prima ancora alla politica, stabilire regole e limiti della sua azione.
Però alla fine, diciamoci pure questo, ci va bene a tutti (o quasi) che ci sia la Polizia a garantire la sicurezza nostra e dei nostri cari.
E in un’epoca di incertezza, di paura, di fanatismo, di infiltrazioni mafiose sotto traccia, di gente che, per soldi, per “fede”, per tifo o per follia, è pronta a uccidere, colpendo spesso a caso, secondo la logica stragista, in un contesto geopolitico in continuo mutamento, dove sono saltate le dighe tra nazioni e continenti, in una società nella quale la violenza cova come brace sotto la cenere, alimentata da ideologie che pescano nell’ignoranza, nell’emarginazione, nella povertà e nel disagio sociale, e nella quale il passaggio dai social alla piazza – o dalla minaccia all’atto - è breve, non ci sono alternative: o si sta da una parte o si sta dall’altra.
Il che non significa ignorare che a volte i poliziotti eccedono, si comportano in modo arrogante, rompono le balle di proposito, alzano le mani e la voce quando non dovrebbero farlo… Sono uomini, non sono santi.
Il che non significa glorificare una categoria professionale in modo acritico, senza se e senza ma. Significa invece rispettare e riconoscere il lavoro che fanno – riconoscerlo anche dal profilo salariale -, da parte della politica e dell’opinione pubblica. Significa non negare alla Polizia gli strumenti che chiede per essere più efficace.
Significa creare le condizioni per costruire un sistema coerente, efficiente e coordinato, perché sono finiti i tempi – e penso al nostro intramontabile campanilismo di stampo feudale – degli uscieri comunali.
Significa, soprattutto, non abbandonare questi uomini al loro destino quando finiscono nei guai per aver fatto semplicemente il loro dovere – da parte dello Stato, che è il loro datore di lavoro, ivi compreso il potere giudiziario che può avere grande influenza sulle nostre vite -, o quando sbagliano perché hanno avuto paura.
Dovremmo sempre chiederci: ma noi che avremmo fatto al posto loro?
Ecco, magari leggendo il libro di Piazza e Bosco può essere più facile risponderci…