"Una città-cassaforte dedita al turismo dell’evasione fiscale e, di riflesso, al riciclaggio di soldi sporchi e ai commerci d’azzardo, di lusso e di lussuria"
di Stefano Bolla (passaggi tratti dal libro Meno Trenta, di Stefano Artioli) *
(…) Lugano è un abitato antico di almeno due millenni. Le testimonianze concrete di un insediamento romano tuttavia sono affiorate in centro città per caso solo di recente (nell’estate del 2017) su segnalazione di un privato cittadino. Eppure scavi e cantieri di ogni genere si sono succeduti a centinaia in città. Facile arguire che ai reperti antichi si è preferito di norma riservare sepoltura eterna. Un sintomo significativo, questo, d’indifferenza o di un livello di attenzione molto scarso verso le testimonianze del passato.
Certo, ogni città viva nasce e cresce da una stratificazione che col tempo mette il passato sotto i piedi degli abitanti. Ma c’è modo e modo di farlo.
Basta a capirlo un semplice confronto. Fate un giro di un’ora o due nel centro di Como e fate altrettanto in quello di Lugano. Per molti aspetti le due città sono comparabili. Eppure le differenze sono evidenti: le testimonianze che emergono dal passato di Como e vivono nel presente, a cominciare dallo schema urbanistico derivato dalle centuriazione romana, riescono a dare alla città una marcata impronta storica che Lugano invece ha conservato in misura molto più ridotta, tanto che la matrice urbanistica del tempo oggi risulta disgregata e sbrecciata dal succedersi secolare d’interventi marcati in buona parte, nei tempi contemporanei soprattutto, dall’arroganza dei vivi sul mondo dei morti. L’antico impianto urbano è quasi del tutto cancellato, il quartiere di Sassello sradicato, villa Ciani seviziata da ripetuti interventi sfrontati, ecc. ecc.
Purtroppo chi maltratta il tempo sovente è condannato a restare indietro, a perdere il treno, a pentirsi della sua mancanza di rispetto e di avvedutezza. Sembra un paradosso, mentre è la risposta pertinente del tempo offeso che si vendica, inchiodando chi lo dileggia a star fermo, senza più capire come fare a andare avanti. I parametri storici non ci sono più e allora si brancola nel vuoto dell’immobilismo, nelle improvvisazioni, nei vaneggiamenti. La progettualità si spegne nell’inerzia e nell’incapacità di guardare con occhi attenti agli interessi collettivi del futuro.
Non a caso Lugano oggi appare in ritardo di anni rispetto al tempo presente. Un ritardo di trent’anni? Forse anche molti di più. Le condizioni necessarie al convivere urbano sono state spazzate via a partire dal primo dopoguerra e, in misura crescente senza più nessun ritegno significativo, nel secondo dopoguerra. Da allora Lugano ha progressivamente subito una drastica metamorfosi dagli esiti devastanti.
(…) Nel tentativo di spiegare la trasformazione della cultura urbana postbellica in genere si chiamano in causa la fine della cultura preindustriale, la rivoluzione industriale e l’impatto delle rivoluzioni tecnologiche nei settori dell’edilizia e dei trasporti, l’incidenza demografica e i loro effetti.
Accanto alle spiegazioni generali, il caso di Lugano mette in primo piano un fattore locale aggiuntivo legato alla sua posizione geografica di città di confine. Per farla breve, le differenze normative esistenti tra nazioni confinanti generano, come tutti sanno, opportunità e vantaggi che riescono a volte a alimentare un’economia opportunistica, per non dire parassitaria, che mira solo a sfruttare alcune situazioni contingenti, sovente aleatorie. Un’economia quindi quasi incontrollabile. Tanto che facili avrebbero potuto essere i presagi di sventure.
(…) Ma Lugano si era lasciata ammaliare da quelle opportunità economiche che nascono dalla rassicurante assenza di cattivi odori della pecunia, tanto da abbandonare i valori dell’urbanità per promuovere l’immagine di una città-cassaforte dedita al turismo dell’evasione fiscale e, di riflesso, al riciclaggio di soldi sporchi e ai commerci d’azzardo, di lusso e di lussuria.
(…) Fatto sta che, proprio a partire dal cuore vivo della città, ossia dal nucleo storico di Lugano, la destinazione residenziale fu rapidamente estromessa dal tessuto urbano per far posto ai palazzi concepiti per rappresentare, con il linguaggio presuntuoso dell’architettura luganese, la sicurezza e l’inviolabilità della cassaforte, posta sotto l’insegna di un istituto bancario o para-bancario.
Per effetto di quella folle metamorfosi Lugano ha perso i connotati di una città. Non ha più cittadini. Li ha respinti all’esterno, verso le periferie. Ha espulso dal centro la componente umana indispensabile a far vivere una città.
Gli abitanti allontanati sono stati concentrati fuori, nei sobborghi, negli ex villaggi, oggi adibiti a dormitori e inglobati nella cintura urbana che, con un tocco di vanità legittimata dalle fusioni comunali, si preferisce designare ‘grande Lugano’.
Fatto sta che il centro di Lugano ora appare come un’esposizione di scrigni per evasori stranieri realizzati in lussuosi stabili di rappresentanza attorniati da locali di ristorazione d’ogni genere destinati a fungere da mensa diurna per chi lavora nel centro. Una città-ufficio che, al tramonto della piazza finanziaria accelerato dalla cancellazione del segreto bancario, sembra svanire nel vuoto di attrattive urbane di una città moribonda.
(…) In concomitanza con la scelta insensata di mettere un deserto privo di cittadini al centro della città, Lugano ha perso il suo impianto urbano insieme alla struttura viaria del passato con interventi disparati operati a casaccio, senza prospettive chiare. Solo un dogma indiscutibile ha recitato imperterrito che spetta all’automobile dettare le regole della mobilità cittadina. La città si trova quindi priva di una zona pedonale, in assenza di un vero nucleo abitato a cui ancorarla.
Enfatico è invece l’assetto e tutta l’impiantistica stradale oggetto di frequenti aggiustamenti privi di significative incidenze positive sul traffico motorizzato, sia esso pubblico o privato. La mobilità lenta, vuoi a piedi vuoi con mezzi non motorizzati, a Lugano non trova terreno fertile. L’assenza di piste ciclabili al riparo dal traffico veicolare rende l’uso di biciclette rischioso.
Spesso muoversi in città durante il giorno significa sprofondare nel caos di un assetto viario farneticante che, finito l’orario di lavoro, prende le dimensioni di un frenetico fuggi-fuggi generale dalla città-ufficio.
Neppure i servizi pubblici sono al riparo dal caos. Lugano oggi è un organismo moribondo. Alla metamorfosi che ha trasformato una città in una meta per evasori fiscali non si è neppure tentato di dare risposta. Nulla è stato fatto in concreto per rimediare in qualche modo all’allontanamento dei cittadini dal centro.
Insieme agli spazi residenziali, sono andati persi i luoghi tradizionali idonei agli incontri degli abitanti, agli scambi, alle attività feconde al pensiero e al confronto. Le sale cinematografiche sono scomparse dal centro. Lo stesso vale per il mercato, privo da decenni di una sua sede stabile e quindi ridotto a una presenza spesso penosa e evanescente. Già prima era stato chiuso il teatro che, sotto l’insegna di Apollo, fungeva anche da sala da concerto. Uno spazio culturale che, al cospetto dell’invadente casinò, sparisce per completare il vuoto.
Neppure il nuovo LAC riesce a ridare vita al vuoto della vita culturale di Lugano. È una struttura che ha qualcosa di iperbolico: estremamente ricco di metri cubi vuoti e molto povero di spazi con destinazioni ben determinate. Sembra creato non tanto per accogliere un pubblico interessato a spettacoli culturali ma per offrire a degli eletti l’occasione di esibirsi in pubblico. Di fatto, il casinò è rimasto il solo vero emblema della Lugano proiettata verso il terzo millennio. Un emblema dalla portata concreta e metaforica squallida, se si considera che l’avvenire della città è finanziariamente alimentato dalla vendita di illusorie speranze di ricchezza.
In più, sappiamo già che il disegno urbanistico della città è stato plasmato in funzione di esigenze imprenditoriali che puntavano sui giochi aleatori dei traffici di valuta e del contrabbando. Il peggio è che, subdolamente, tutti quei giochi d’azzardo hanno alimentato l’illusione, assai radicata nella cultura della Lugano del secondo ’900, di poter far soldi senza dover rimboccare seriamente le maniche.
A dare concretezza a simili parvenze ingannevoli di facili guadagni, sulla facciata del casinò ‘blinca’, giorno e notte, l’ammontare favoloso del monte premi o jackpot. Quella resta l’insegna emblematica di un casinò di città che riusciva a promettere ai propri ‘cittadini espulsi’ solo castelli in aria; mentre agli evasori stranieri, accolti per depositare i loro capitali sfuggenti, regalava l’impressione di un pacifico paese di bengodi a prova di bomba, anche se i malfattori non mancavano affatto negli angoli sporchi della piazza finanziaria.
Così, dentro il mare insidioso e ammiccante dalle false promesse dispensate dalle vincite ai tavoli da gioco e dai traffici di confine è affondato in larga misura lo spirito urbano e imprenditoriale di Lugano. È scomparso l’impegno che spremeva sudore dalla fronte, svanita l’imprenditorialità e la tenacia produttiva del ceto commerciale, artigianale e industriale della Lugano positiva, capace un tempo di confrontarsi con la realtà senza perdersi né in ciance né in abbagli.
Oggi, finiti i miraggi, ai giovani, alle nuove leve capaci di sfuggire alla truffa dei giochi d’azzardo ma confrontati al vuoto economico lasciato dai castelli d’aria non resta spesso che imboccare la via che li porta lontano. Sicché la città, che nel passato allontanò i suoi cittadini dal centro, oggi perde, almeno in parte, anche i cittadini del futuro che guardano all’estero. Il tempo non perdona gli errori. La natura neppure.
(…) Oggi la cecità di un’economia affamata di profitti e inebriata dall’efficienza della tecnica ostenta l’arroganza di un illusorio predominio dell’uomo sulla natura. Illusorio, perché alla fin fine la convinzione di poter dominare sulla natura, senza riguardo ai limiti di sopportazione, rischia di mettere a repentaglio, assai più che la natura, la sopravvivenza stessa di quella specie animale classi-ficata, senza un briciolo di modestia, sotto l’etichetta di homo sapiens sapiens.
La risposta urbanistica della ‘grande Lugano’ agli allarmi pacati lanciati dalla natura direi sia assai impacciata per non dire rassegnata. Contro l’estensione del cemento per nuove strade e edificazioni a scapito del verde l’atteggiamento di fondo direi sia rinunciatario. Il verde urbano ha una funzione ornamentale che ben difficilmente riesce a competere con interessi materiali divergenti. Non senza aggiungere che mettere la natura tra gli aspetti di mero ornamento significa, secondo la mentalità corrente, relegarla a priori tra le faccende di minimo rilievo.
Del resto oggi la logica della demagogia, di fronte alle difficoltà molto preoccupanti di una civiltà in crisi profonda, non accenna neppure a formulare proposte politiche serie per risolvere i gravi problemi reali della società. Oggi, per farsi eleggere, ai politici basta accattivarsi la fiducia della gente. Certo, è molto più facile distribuire vuote lusinghe agli elettori che fare politica con serietà!
(…) Sullo sfondo della ‘grande Lugano’ inurbana restano le montagne della val Colla, della Capriasca, del Malcantone. Gingilli decorativi da cartolina illustrata? Sopravvivenze geologiche di una natura incontaminata in via d’estinzione? O piedestalli creati da madre natura per ricevere in cima cavolfiori o carciofi architettonici di grande richiamo turistico? Lema, Gradiccioli, Tamaro, Bar, Gazzirola, Denti della Vecchia e Boglia scuotono la testa con un sorriso, prima di chiedersi: ‘Ma noi cosa ci stiamo a fare quassù?’. Magari sono lassù solo a ricordarci che ‘la terra che abitiamo non c’è stata donata dai nostri padri, ci è stata prestata dai nostri figli’.
Così dice un proverbio dei nativi americani. E se dovremo rendergliela in buono stato, ci occorrerà per forza di cose seguire le tracce capaci di svelarci, prima che sia troppo tardi, i percorsi da seguire con cura e senza insolenza per evitare la mala sorte di finire vittima coi nostri figli della nostra stolta presunzione.
* avvocato