La Svizzera si è consegnata alla marea azzurra ma l'Europeo è tutt'altro che finito. Ora occorre crederci, per i processi c'è sempre tempo
di Andrea Leoni
Bastava leggere la formazione iniziale per capire che sarebbe finita male. La Svizzera, in questo momento, non può permettersi due punte, un trequartista, un quinto offensivo e un “regista” incompiuto e irrisolto, contro l’Italia. Gli azzurri sono una bellissima squadra senza fuoriclasse, con un campione (Jorginho) e forse un altro (Verratti) e qualche progetto di grande giocatore. Ma la squadra di Roberto Mancini è tirata a lucido dal punto di vista fisico (forse troppo per l’inizio del torneo), ha un gioco scintillante ed eretico rispetto alla tradizione e si alimenta soprattutto di un entusiasmo e di una consapevolezza frutto di una tabella di marcia impressionante (con quella di ieri fanno 29 vittorie di fila).
I rossocrociati, quindi, per mettere in difficoltà la nazionale italiana, avrebbero dovuto cominciare proprio da qui, provando a mettere in discussione queste certezze. Occorreva, almeno nel primo tempo, impostare una partita collosa, ruvida, scorbutica, brutta. Non un catenaccio ma una gara di grande organizzazione difensiva volta a creare densità nella propria metà campo, a chiudere tutte le linee di passaggio, a soffocare il palleggio e il talento degli azzurri, a farsi sentire sulle caviglie, a seminare il terreno di astuzie e a presidiarlo con fisicità e temperamento. Bisognava insomma spezzettare quanto più possibile il gioco per innervosire gli avversari: una squadra abituata a trovare facilmente l’azione offensiva e il gol, ma forse meno pronta a sopportare la fatica della pazienza e l’irritazione della giocata sporca.
La Svizzera, invece, si è consegnata alla marea azzurra con una formazione scriteriata e un piano partita suicidale. Non so se sia stato un peccato di presunzione o “solo” un'errata preparazione del match e della sua lettura. Accettare certi 1 contro 1 - il povero Elvedi preso sistematicamente in mezzo da Insigne e Spinazzola e Berardi con Rodriguez - sono un inno all’inconsapevolezza delle proprie capacità e della qualità dell’avversario. Per ottenere un risultato positivo la Svizzera avrebbe dovuto giocare di strategia, sapendo che nei 90 minuti, come ama dire quel furbacchione di Max Allegri, ci sono due o tre partite da interpretare in modo diverso. Invece la Nazionale non ne ha giocata nessuna.
Sul banco degli imputati è finito il CT Vladimir Petkovic. In effetti, dopo l’improvvida sostituzione di Shaqiri contro il Galles, l’allenatore rossocrociato ha prodotto un altro disastro dal punto di vista tattico. La critica, anche severa, è senz’altro giustificata dai fatti. C’è chi gli ha già preparato la forca, ma occorre prudenza e lucidità nelle valutazioni. I selezionatori si giudicano sulla base dei risultati e l’Europeo della Svizzera non è ancora finito, tutt’altro. Se Vlado uscirà malamente (già nel girone o con un ottavo non altezza), sarà giusto e naturale procedere con un esonero. Non in caso contrario. Diamo tempo al tempo.
Gli errori e le responsabilità di Petkovic, si diceva, sono sotto gli occhi di tutti, ma sarebbe ingiusto tacere quelle dei calciatori. La qualità della rosa rossocrociata si è fin qui rivelata mediocre, tendente al basso. Rodriguez sembra non poter più circolare a certi livelli, Freuler è il cugino timido e involuto del corsaro arrembante di Gasperini, Akanji un difensore più distratto che efficace, Mbabu un martello che scalpella solo in fase offensiva, Embolo una previsione meteorologica di primavera.
E poi Xhaka. Il capitano della Nazionale è il primo sulla lista dei colpevoli per molti tifosi e addetti ai lavori. Il paragone apparecchiato ieri sera dal campo con un regista di livello come Jorginho, è stato crudele e impietoso. A nostro avviso ci sono due equivoci che minano la serenità di giudizio su questo calciatore. Il primo è tattico. Nel calcio moderno nessuno può permettersi un play che gioca in maniera effimera e scolastica, perché diventa una palla al piede per l’intera squadra. Per sostenere un elemento come Xhaka in quella posizione, occorre che il suo gioco sia decisivo per velocità, dinamismo, verticalizzazioni, cambi di gioco, assist, capacità di proporsi al tiro. Altrimenti è come giocare in dieci. Il secondo equivoco riguarda le aspettative. Purtroppo per anni il capitano della Svizzera è stato spacciato per Falcao - e lui è il primo che ci ha creduto, probabilmente - invece è solo Xhaka, con i suoi pregi e i suoi difetti. Se tutti lo valutassero per ciò che è - un buon giocatore e nulla più - e se giocasse in un ruolo meno impegnativo, i toni nei suoi confronti sarebbero più oggettivi e meno sferzanti.
Dopo la “scoppola” rimediata con l’Italia, la Nazionale si trova ora boccheggiante sotto una cappa di pessimismo, rabbia e frustrazione. Sentimenti comprensibili da parte dei tifosi, ma estremamente nocivi in questa fase. Vale lo stesso discorso fatto per Petkovic: chi vuol bene ai rossocraciati sospenda ogni tentazione forcaiola e faccia sentire fiducia alla squadra. È difficile, ma è l’unico atteggiamento che può portare a qualcosa di positivo. C’è ancora una partita da giocare e non ci si deve consegnarsi alla sconfitta. La speranza, fosse anche illusoria, deve prevalere sul disfattismo. Una vittoria con la Turchia, già eliminata, potrebbe ribaltare le sorti dell’Europeo della Svizzera. Perché affrettarsi nel gettare tutto alle ortiche? In queste ore sarà importantissimo il ruolo della Federazione, che deva fare da scudo al Commissario Tecnico e al gruppo. Per fare i processi di tempo ce n’è in abbondanza, per dare una svolta e un senso al torneo ci sono invece solo 90 minuti. Comprenderlo significa cominciare a vincere la partita.