CRONACA
Silenzio, parla Platini: "Il calcio mi voleva presidente della Fifa, la politica del calcio no. Infantino? Fuori da lì non è nessuno". E sugli arabi dice...
L'ex campione francese della Juve racconta la sua sofferenza al processo di Bellinzona, conclusosi con la sua assoluzione
TiPress/Alessandro Crinari

CASSIS - Michel Platini, 68 anni, una delle leggende del calcio mondiale, che oggi vive a Cassis, cittadina provenzale a sud di Marsiglia, si racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera. Parla dei numeri 10, come lui, che erano i giocatori più forti, i leader delle squadre: “Puskas, Pelé, Rivera, tecnici e carismatici. C’è il numero dieci europeo, che era più un regista, e quello sudamericano che giocava più avanti, quasi da seconda punta. Più un nove e mezzo che un dieci, un secondo attaccante. Zidane, io, Rivera, Puskas eravamo più organizzatori di gioco, anche se abbiamo fatti tanti gol...”. Parla di Gianni Agnelli, all’epoca patron assoluto della Juventus: “Non era certo un amico, non era una persona con cui mi prendevo a pacche sulle spalle, aveva tanti anni più di me e la sua indiscutibile autorevolezza. Io direi così: ho reso orgoglioso l’Avvocato”.

E parla della vicenda giudiziaria che lo ha portato a processo al Tribunale penale federale di Bellinzona con l’accusa di frode e gestione infedele: il caso degli scandali Fifa, che poco più di un anno fa si è concluso con l’assoluzione sua e di Joseph Blatter.

“Sapevo di non avere nulla da rimproverarmi, ho sempre fatto tutto correttamente – racconta Platini -. Ho visto la sofferenza della mia famiglia e delle persone che mi sono vicine. La battaglia che ho condotto era contro l’ingiustizia. L’obiettivo di quella campagna era di farmi fuori dalla Fifa. Mi hanno messo sotto accusa le commissioni della Fifa che gestiscono “loro”. Appena si è usciti dal mondo dei funzionari del calcio, che volevano impedirmi di diventare presidente, la giustizia ordinaria mi ha dato ragione. E per me, ovviamente, conta quello. Fuori dagli apparati del calcio ho vinto, dentro ho perso. Per questo non mollerò, è stata un’ingiustizia. C’è gente che mi ha fatto del male, molto. Non mi interessa tanto dell’universo Fifa. Per Infantino, Ceferin (ndr: presidenti della Fifa e della Uefa) quel mondo è tutto perché non hanno vissuto niente prima e, fuori da lì, sono nessuno. Non hanno mai giocato al calcio. Loro, come Blatter, sono diventati importanti là, dentro quei palazzi, e sono importanti solo là. Ho sofferto per dieci giorni, mi sono battuto per difendermi ma poi ho presto capito che la verità era solo che volevano farmi fuori, e basta”.

L’ex campione francese della Juve ha una tesi molto chiara: “L’amministrazione della Fifa si è schierata contro di me. I presidenti delle federazioni nazionali mi volevano presidente, gli apparati della Fifa no. Si può capire perché. E hanno cercato qualcosa per bloccarmi. Hanno trovato un pagamento fatto cinque anni prima e qui è l’ironia della cosa: la Fifa prima mi paga per il mio lavoro e poi mi punisce per avermi pagato. Assurdo, questo è il massimo. Il calcio mi voleva, la politica del calcio no”.

Platini parla anche dello spostamento dell’asse del calcio verso il mondo arabo, che è storia degli ultimi mesi, con gli emiri che hanno fatto man bassa di grandi giocatori e che adesso sarebbero disposti a pagare la somma astronomica di 40 milioni di euro all’anno a Roberto Mancini per allenare la loro nazionale: “I calciatori, i migliori calciatori, sono come uccelli che migrano cercando i luoghi dove vivere meglio. E dove sono attesi dalla gente e quindi ci sono più soldi. Io sono venuto in Italia, all’inizio degli anni Ottanta, perché era il Paese che pagava di più, era il cuore del calcio mondiale. Maradona, Falcao, Zico giocavano qui. Erano gli anni di Mantovani, di Berlusconi, dell’Avvocato, gli azzurri avevano vinto il campionato del mondo, l’economia andava bene, il terrorismo stava finendo. Si sentiva un’aria di ripresa, di entusiasmo nella società italiana. E quindi anche nel calcio. Oggi i calciatori vanno dove gli danno più soldi. Io credo che ci sia stato un errore della Commissione Europea nello sposare integralmente la Bosman senza un disegno complessivo per lo sport europeo. Ora i ricchi possono comprare chi vogliono. E quei Paesi sono ricchi, molto ricchi”.

E parla, infine delle società calcistiche che, non solo in Italia, sono piene di debiti: “Il sistema è fatto per produrre debiti. Il sistema è: tanti soldi arrivano e tante persone li prendono. Il meccanismo dei trasferimenti è questo. Tu prendi dei calciatori sperando che due anni prima della scadenza del contratto vengano venduti per fare soldi. Io negli anni Settanta ho fatto sciopero per consentire ai calciatori di scegliere loro, a fine contratto, dove andare a giocare. Sono andato al Saint Etienne quando ero libero e lo stesso alla Juve. Deve essere il calciatore a scegliere, è la sua vita. Poi attorno al mondo del calcio c’è tanta gente... Dove circolano tanti soldi arrivano quelli a cui i soldi piacciono tanto, troppo”.

 

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