Ma se rallenta la locomotiva europea, i suoi vagoni, Svizzera compresa, non possono illudersi di correre ancora a lungo
di Beniamino Sani - contributo de ilfederalista.ch
Inflazione, economia al palo, deindustrializzazione. La Germania è in terapia intensiva. Per giunta nelle piazze tedesche infuriano le proteste di massa contro l’AfD (Alternative für Deutschland), il partito di estrema destra al cui interno si contano anche nostalgici neppure troppo velati del nazionalsocialismo e che i sondaggi danno ormai al 22-23% – il doppio dei consensi raccolti alle elezioni del 2021 (a titolo di paragone i rosso-verdi assieme fanno il 28%).
Le manifestazioni di ieri (legate alla gestione dei migranti e al diritto di cittadinanza) si sono aggiunte a quelle rumorose degli agricoltori tedeschi, in corso da settimane e destinate a prolungarsi anche nei prossimi giorni. La collera degli agricoltori, cavalcata con successo da AfD, ha messo in difficoltà il Governo di centro sinistra al grido di slogan poco sfumati, tipo: “La Germania sta morendo e il governo è il suo assassino!”.
Lo scontro con i lavoratori della terra si è aperto sulla scia di una sentenza della Corte costituzionale che aveva tirato un tratto di penna rossa sul piano finanziario presentato dal Governo Scholz, trovatosi da un giorno all’altro a dover reperire 17 miliardi di euro per far rientrare il budget federale 2024 nei paletti della legge sul pareggio di bilancio. E una voce sulla quale Berlino ha provato a tagliare sono stati i sussidi per l’agricoltura, dando il là alle proteste.
Germania, unica tra le grandi in recessione
La crisi di bilancio è conseguenza di un quadro più ampio di difficoltà, quello che vede il Governo tedesco costretto a intervenire a supporto dell’economia, senza tregua, dal covid in poi. Alla pandemia, che ha richiesto un impegno straordinario da parte del Tesoro federale, è infatti subentrata l’impennata del costo dei combustibili, resa ancor più grave dalla scarsità negli approvvigionamenti di gas e carbone seguita all’invasione russa in Ucraina (dal punto di vista energetico la Germania aveva puntato quasi tutto sui combustibili fossili a basso costo provenienti dalla Russia).
Berlino si è trovata costretta a sostenere le imprese in difficoltà per l’alto prezzo dell’energia e delle materie prime. L’ipotesi era di protrarre il sostegno fino al 2027, investendo nella modernizzazione industriale e nella transizione verde ben 60 miliardi di fondi inutilizzati, allocati in precedenza quali spese straordinarie per la pandemia; ma ora come detto si è vista sventolare il cartellino rosso dall’Alta Corte di Karlsruhe.
Un vero guaio poiché, pur con il sostegno statale (la Germania è lo Stato UE che aiuta di più l’economia privata nonostante ciò sia teoricamente contro i principi del mercato unico europeo), la locomotiva tedesca sta già boccheggiando sul filo dell’acqua. Secondo Ruth Brand, presidente dell’ufficio federale di statistica, che alcuni giorni fa ha presentato i dati sul PIL tedesco nello scorso anno, “in un contesto che continua a essere segnato da molteplici crisi lo sviluppo economico complessivo in Germania sta vacillando”. Sono dunque finiti i miracoli economici registrati fino a pochi anni fa.
Con un calo del PIL nel 2023 dello 0,3%, la Germania è l’unica tra i big dell’economia mondiale a chiudere in decrescita l’anno. Resta invece relativamente elevata l’inflazione (+3,7% nel 2023), che sta agendo da zavorra sull’intero sistema. Secondo il “Financial Times”, “le vendite al dettaglio, le esportazioni e la produzione industriale tedesca sono tutte diminuite nel 2023. Le famiglie sono state colpite dal più grande aumento del costo della vita da una generazione, mentre il vasto settore manifatturiero del paese ha sofferto di elevati costi energetici, debole domanda globale e crescenti costi di finanziamento”.
Se la prima potenza manifatturiera europea va in crisi.
Il calo della produzione industriale è ciò che preoccupa di più: “Il grande settore manifatturiero tedesco, focalizzato sull’export, è zavorrato dalla perdita dell’energia russa a basso costo e da un rallentamento della domanda da parte della Cina”. Intanto proprio dalla Cina avanza una concorrenza sempre più seria al fiore all’occhiello della produzione manifatturiera tedesca, l’automotive, il quale lanciatosi nella transizione all’elettrico sembra però rimasto a metà del guado a causa del ritardo sulla parte software delle vetture, oggi sempre più essenziale.
Ecco perché si torna a parlare di "Germania, malato d’Europa” (come si faceva nei primi anni della riunificazione), o di “uomo stanco d’Europa”, come ha fatto pochi giorni fa a Davos il ministro delle finanze tedesche Christian Lindner. Ma oggi l’ancor più avanzata integrazione europea e la moneta unica fanno sì che se la Germania starnutisce, l’Europa intera si prende il raffreddore.
Come illustra il grafico elaborato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), rispetto al 2021 la Germania ha perso più del 5% della produzione industriale; e come si vede chiaramente l’intera UE segue a ruota.
Si consideri che dalla sola Germania nei primi 11 mesi del 2023 è partito un quarto dell’export dell’intera area euro. Non stupisce dunque, come riporta il Financial Times, che i dati da settembre a fine novembre indicassero un calo della produzione industriale di tutta l’Eurozona.
Un declino che, a lungo andare, non dovrebbe lasciar tranquilla nemmeno la Svizzera: circa il 15% delle esportazioni elvetiche si dirigono verso la Germania, essendo il nostro settore manifatturiero legato a doppio filo con quello tedesco, al quale fornisce moltissima componentistica per prodotti e macchinari poi diretti ad altri mercati.