IL FEDERALISTA
Andrea Gehri: "Quando lo Stato cresce a dismisura ci si deve preoccupare"
Il Federalista ha intervistato il presidente della Camera di commercio e Sergio Morisoli sull’iniziativa “Stop all’aumento dei dipendenti cantonali”
TiPress/Alessandro Crinari

Redazione Il Federalista

In Ticino la spesa per gli impiegati del Cantone cresce troppo in fretta. Lo sostiene un gruppo di politici e imprenditori, all'origine dell'iniziativa popolare “Stop all’aumento dei dipendenti cantonali”. Una dieta graduale, attraverso la riduzione del personale nella misura del 10% in cinque anni, approfittando dei pensionamenti e senza licenziamenti. Ce la presentano i sostenitori. Ne discuteremo in una prossima edizione.

Gli impiegati dello Stato ticinese sono troppi, le nuove assunzioni corrono veloci e il Cantone spende cifre astronomiche per mantenerli: attorno al miliardo di franchi. È la tesi dei promotori dell'iniziativa "Stop all'aumento dei dipendenti cantonali".

La proposta di legge depositata mercoledì scorso ha raccolto oltre 11.000 firme in tre mesi a fronte delle 7.000 necessarie. Essa punta a fissare un tetto massimo al numero di dipendenti dell’amministrazione cantonale. Oggi sono attorno ai 9100.

L’obiettivo è di ridurre il personale (calcolato in “Tempi pieni equivalenti” o “Posti autorizzati”) di circa il 10% nei prossimi cinque anni, portandolo al rapporto dell’1,3% rispetto alla popolazione residente. Un limite che, secondo i sostenitori, garantirebbe una gestione più efficiente e sostenibile dello Stato.

Si sono schierati a favore l’UDC e alcuni rappresentanti di Lega, Centro e PLR, ai quali si aggiunge il sostegno abbastanza inusuale delle due grandi associazioni dell’economia ticinese, ovvero Camera di Commercio del Canton Ticino e Associazione industrie ticinesi.

Andrea Gehri, presidente della Camera di Commercio, ci spiega le ragioni di questa mobilitazione. “Uno Stato forte e moderno deve poter contare sul sostegno dell’economia. Noi di Camera di Commercio ci riteniamo partner affidabili per lo Stato ticinese, ma questo sostegno è possibile solo se l’economia ha condizioni quadro che ne permettano il progresso. Quando si vede uno Stato che cresce a dismisura e diventa invadente sull’attività economica, ci si deve preoccupare”.

Una crescita costante 

Sergio Morisoli, deputato UDC e uno degli artefici dell'iniziativa, sottolinea i motivi della proposta. "Il Ticino spende per il proprio funzionamento il 33% in più per abitante rispetto alla media degli altri Cantoni svizzeri," spiega, citando uno studio del 2023 elaborato dall'Istituto superiore di studi in amministrazione pubblica di Losanna (IDHEAP), secondo il quale la spesa per l’“amministrazione generale” (voce composta in buona misura dal personale amministrativo) calcolata – dopo un aggiustamento per considerare il diverso potere d’acquisto dei salari ticinesi – per ogni abitante supera di 336 fr la media svizzera. "È un dato oggettivo che evidenzia un sovradimensionamento".

Da parte sua Gehri, pur riconoscendo che nel confronto vanno considerate le attenuanti dovute alle particolari caratteristiche geografiche e di contesto economico e linguistico del Ticino (unico Cantone interamente di lingua italiana), sottolinea però come “in vent’anni, la spesa pubblica cantonale sia aumentata di ben il 75% e, parallelamente, il debito pubblico sia passato da 1 miliardo a 2,7 miliardi, più che raddoppiando. Cifre che non possono lasciare indifferenti”. 

Il rapporto debito/PIL è di per sé uno dei peggiori della Svizzera, ricorda Morisoli, ed è un valore in crescita costante. Il granconsigliere evidenzia anche un altro dato significativo: "Le imposte delle persone fisiche, ovvero di circa 180mila contribuenti, bastano appena a coprire i salari dei circa 10mila dipendenti pubblici. La spesa salariale rappresenta la seconda voce di spesa del Cantone dopo i sussidi”. 

Il personale, se non bastasse, è cresciuto di circa 800 unità negli ultimi cinque anni. Si tratta, gli fa eco Gehri, di un valore di circa 100 milioni di franchi in stipendi, ovvero su per giù il deficit di bilancio registrato dal Ticino negli ultimi anni. Questo aumento, spiega Morisoli, è alimentato da automatismi nelle assunzioni, che "rendono difficile frenare la crescita dei costi". E ciò nonostante -rammenta- pochi anni fa si fosse deciso e promesso di puntare sulla digitalizzazione e di razionalizzare l’apparato statale. 

“È vero”, ragiona Gehri, “che abbiamo appena lasciato alle spalle anni difficili per tutti”, a partire dalla pandemia di covid19, anni che hanno richiesto un maggior impegno da parte dello Stato. “Ma il nostro contributo, come associazioni economiche, vuole proprio essere quello di mostrare che le continue innovazioni e la tecnologia aprono davvero alla possibilità di rendere più efficienti i processi lavorativi. Il mondo imprenditoriale, che noi rappresentiamo, lavora costantemente su questo aspetto”.

Il guaio è che “uno Stato che costa sempre di più deve necessariamente trovare risorse attraverso tasse e imposte, andando a gravare sull’economia”, aggiunge Gehri, che vede nell’aumento di dipendenti pubblici anche una crescita del fardello burocratico. “Un apparato più grande genera inevitabilmente più processi amministrativi, con il risultato di complicare la vita sia ai cittadini che agli imprenditori”. Per di più, sottolinea l’imprenditore, un tale apparato impone di sacrificare a beneficio delle spese correnti investimenti che potrebbero generare benessere e posti di lavoro.

La promessa: nessun licenziamento

L’iniziativa pone inoltre l’accento su quella che i promotori definiscono "un’opportunità irripetibile": il pensionamento in atto dei nati durante il baby boom. Ogni anno, nel periodo che stiamo vivendo, circa 300-350 dipendenti cantonali lasciano il lavoro per raggiunti limiti di età. "Basterebbe non sostituire una parte di questi pensionamenti per ridurre gradualmente il personale", afferma Morisoli. “Nei cinque anni previsti per l’applicazione della misura, il taglio di 580 unità sarebbe realizzabile senza ricorrere a licenziamenti”. 

“Si tratterebbe - soggiunge Gehri - di ridurre gli impiegati del 2% ogni anno: non ci sembra uno sforzo impossibile”. Anzi -completa l’imprenditore- è ciò che fanno tutte le aziende quando le uscite superano le entrate.

E Morisoli puntualizza: "Se si analizzasse la produttività dei vari uffici come farebbe un’azienda, sono convintissimo che emergerebbe quanto un 10% dei costi potrebbe essere eliminato senza compromettere i servizi”.

Incuriosisce -tuttavia- la proposta di un criterio fissato all’1,3% della popolazione residente per stabilire il numero massimo di dipendenti. Secondo i promotori si tratterebbe del medesimo rapporto esistente in altri Cantoni, adattato peraltro “in maniera generosa” alla peculiare realtà ticinese. "Non è una misura arbitraria, bensì un rapporto ragionevole che permette di mantenere tutti i servizi essenziali," spiega Morisoli. “Servirà in futuro come bussola per evitare che il numero dei dipendenti torni a crescere dopo il raggiungimento del limite, un tetto chiaro e vincolante”.

Un passato di tentativi falliti

Non è la prima volta -ricordiamo- che si tenta di razionalizzare l’apparato statale. A inizio millennio, il progetto "Amministrazione 2000" mirava a rivedere i compiti dello Stato e a introdurre una gestione più “aziendale” dello stesso. "Fu un’iniziativa ambiziosa, ma molte proposte valide non vennero nemmeno esaminate”, lamenta Morisoli. Lo stesso destino incombe -è il suo timore- sulla recente “Revisione dei compiti dello Stato”, avviata nel 2022 ma ancora in stallo.

Come dunque evitare -domandiamo- che l’aureo criterio del 1,3% si trasformi in una nuova grida manzoniana, indigesta per chi governa, alla stregua del famoso “decreto” battezzato con il cognome dello stesso deputato UDC? 

“Purtroppo è vero”, concede Morisoli, “negli ultimi anni abbiamo visto un Governo che si impegna poco per rispettare la volontà popolare o, in certi casi, quella del Parlamento. Anche per quel che riguarda il numero degli impiegati del Cantone non si è mai affrontato il tema con la convinzione necessaria”.

Non si può tuttavia non rilevare come tra i sostenitori del testo appena depositato in Cancelleria vi siano anche membri dei partiti di Governo – Liberali, Centro, nonché una nutrita pattuglia della Lega. Non però i partiti come tali.

Non è sorpreso il deputato UDC. “I politici vivono di spesa: sussidi, nuove assunzioni o compiti aggiuntivi sono strumenti per ottenere consenso. ‘Fare meno’ non paga elettoralmente", afferma. “Un segnale dal popolo potrebbe fare la differenza. Ad oggi ogni dipartimento opera in autonomia, senza una regia comune: ciò rende impossibile ridurre seriamente i costi”. 

“Il sistema politico ha fallito nel gestire la crescita del personale pubblico. Parte della colpa è nostra, come cittadini, che chiediamo sempre più prestazioni allo Stato”, riflette dal canto suo Gehri. “Bisogna cambiare mentalità e accettare che lo Stato non possa risolvere tutti i problemi. Anche perché, poi, lo Stato non fallisce come un’azienda, ma cresce e costa sempre di più. Serve una regola chiara per invertire la spirale”, conclude l’imprenditore. 

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