IL FEDERALISTA
Le tensioni tra ebrei e cattolici dopo il 7 ottobre
Claudio Mésoniat: "Le attuali incomprensioni non riguardano certo la legittimità dello Stato di Israele, bensì le opzioni politico-militari del Governo in carica"

di Claudio Mésoniat - articolo pubblicato su ilfederalista.ch

Deicidio? “Il popolo ebraico è responsabile dell’uccisione di Cristo”? Potremmo ripartire da qui, o meglio, da quel che disse Jules Isaac a proposito di questa assurda ma perfida tesi, falso storico-concettuale perennemente riesumato. Isaac: i crocifissori erano i romani, mentre i crocifissi -come Cristo- erano gli ebrei (e lo storico ricorda, di passata, che Varo, legato di Siria, obbligato a intervenire in Giudea, aveva fatto crocifiggere duemila ebrei). Chi era Isaac? Lo vedremo tra poco. E perché citarlo, perché tornare su questa formula infamante e su antiche dispute superate? 

Il motivo è che, in realtà, dopo il 7 ottobre sono tornate a galla non solo espressioni di vero e proprio antisemitismo, mescolate a forme di anti sionismo generalizzato che mettono in discussione l’esistenza stessa di Israele, ma di rimbalzo anche rievocazioni del pregiudizio cristiano contro gli ebrei che generò focolai di odio e persecuzioni a loro danno; e che, della grande e luminosa epoca medievale, fu per secoli il lascito realmente più oscuro.

In altre parole, sebbene l’antisemitismo, fino all’esito estremo della tragedia della Shoah, e l’odio a Israele abbiano oggi (e in epoca contemporanea,) radici che non pescano affatto nel cristianesimo ma, come tutti sanno, nell’eredità di ideologie radicalmente nemiche di esso, come nazismo e comunismo (dai cui regimi i cristiani hanno patito pesanti e cruente persecuzioni), succede tuttavia che nell’argomentario polemico cui attingono intellettuali e organismi culturali vicini alla causa ebraico-israeliana rifaccia capolino l’accusa di anti giudaismo rivolta ai cristiani, cattolici in particolare.

Non mi riferisco soltanto alle polemiche suscitate da alcune dichiarazioni di papa Francesco, ma anche alla mia esperienza personale. Infatti -è bene ricordarlo- “un reale dialogo non si realizza mai astrattamente, tra ‘religioni’ o ‘chiese’, ma solo concretamente tra credenti, o comunque tra persone esistenzialmente collocate rispetto alle istituzioni religiose di appartenenza o di provenienza” (come ha detto di recente don Filippo Morlacchi -da sei anni sacerdote fidei donum a Gerusalemme- a un convegno tenutosi alla Lateranense con la partecipazione, tra gli altri, del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni).

Personalmente non mi stupisco di qualche asprezza polemica con gli amici ebrei, consapevole come sono che i rapporti tra ebraismo e cristianesimo siano (sempre Morlacchi) “strettissimi e conflittuali, come di norma accade tra fratelli”. Strettissimi: lo sa bene, in particolare, chi non sia estraneo a quella ricchissima forma di preghiera suggerita dalla Chiesa che si sostanzia della più bella poesia di tutti i tempi, i Salmi biblici di Davide. Conflittuali? Qui entra in gioco un risvolto propriamente politico che, purtroppo, tende a imporsi come determinate in ultima istanza.

Succede a papa Francesco, così come a tanti cattolici, e a chi scrive, di non poter condividere le scelte del Governo israeliano –senza peraltro negare la legittimità dello Stato di Israele-, in particolare quelle messe in atto dopo il 7 ottobre 2023 e che hanno causato le terribili sofferenze inflitte alla popolazione palestinese della Striscia di Gaza e più di recente ai civili nei territori occupati di Cisgiordania. Un massacro non può giustificarne un altro, al di là delle corresponsabilità dei terroristi di Hamas, che a Gaza si servono della propria gente come di scudi umani.

Per ridirlo con le parole di don Morlacchi: “Accusare di antisemitismo i cristiani che apprezzano i valori spirituali dell’ebraismo per il solo fatto che criticano alcune opzioni politiche dello Stato di Israele è manifestamente infondato. L’appoggio incondizionato alle politiche e agli interessi di Israele non può essere un pre-requisito del dialogo ebraico-cristiano”.

Allo stesso modo, di converso, colpevolizzare collettivamente gli ebrei per i bombardamenti israeliani su Gaza sarebbe un errore madornale, tanto più quando –come è accaduto e accade nelle piazze e sui social- questa falsificazione inducesse sentimenti di antisemitismo.

Torniamo, per concludere, al citato storico francese, ebreo, Jules Isaac, il cui nome è legato ai primissimi passi del movimento di amicizia ebraico-cristiana in Europa, subito dopo la Seconda Guerra mondiale. Interessante che la culla di questa intesa sia stata la Svizzera, tra luglio e agosto del 1947, quando ancora il nostro Paese percepiva di avere nel proprio DNA una responsabilità e un ruolo da giocare nella (ri)costruzione dell’Europa.

“La magna charta del dialogo ebraico-cristiano – ha scritto Lucia Antinucci nel suo libro “Un dialogo tra fratelli: ebrei e cristiani” – sono i Dieci punti di Seelisberg (Svizzera) della Conferenza internazionale contro l’antisemitismo (1947) promossa da Jules Isaac, autore di “Jesus et Israel”, assieme al gran rabbino Kaplan. I Dieci punti sono stati recepiti anche dalla Chiesa cattolica e sono confluiti nella Dichiarazione Nostra aetate n. 4”. Qualche anno dopo, Isaac incontrava personalmente papa Giovanni.

Fu proprio con questo paragrafo di Nostra aetate che il Concilio Vaticano II cambiò in modo radicale l’atteggiamento della Chiesa nei confronti del popolo ebraico, gettando le fondamenta per una nuova relazione. Senza confusioni e senza irenismi (si tratta di due fedi profondamente diverse, come più di recente ha ben illustrato il grande rabbino e teologo Jacob Nuesner, nel suo dialogo a distanza con papa Benedetto XVI e nel suo volume “Ebrei e cristiani, il mito di una tradizione comune”). Ma pur sempre nella consapevolezza di radici storiche misteriosamente intrecciate. Ecco i primi tre punti del “decalogo del Seelisberg”:

1.    Ricordare che è lo stesso Dio vivente che parla a tutti noi nell’Antico come nel Nuovo Testamento.

2.    Ricordare che Gesù è nato da una madre ebrea, della stirpe di Davide e del popolo d’Israele, e che il suo amore e il suo perdono abbracciano il suo popolo e il mondo intero.

3.    Ricordare che i primi discepoli, gli apostoli, e i primi martiri, erano ebrei.

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