POLITICA E POTERE
Mauro Dell'Ambrogio, Campione d'Italia come la Grecia: "Quando la politica ignora la sostenibilità economica"
"Il problema nasce quando principi economici sono ignorati dalla politica, e su questa ignoranza si fondano programmi e promesse, o la pratica quotidiana"
TiPress/Pablo Gianinazzi
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di Mauro Dell’Ambrogio*

La crisi a Campione d’Italia ha messo in luce cosa succede quando la politica ignora la sostenibilità economica. Nel “sistema Campione” (cito da interviste del Corriere del Ticino a persone del luogo) “tutti volevano e dovevano lavorare come dipendenti pubblici (22 agenti di polizia comunale per 1’900 residenti)” era diventato impossibile “far quadrare il bilancio del casinò gravato da troppi debiti e da situazioni insostenibili, come l’altissimo tasso di assenteismo e malattia”.

Una crisi che ricorda quella della Grecia, dove l’impiego pubblico era diventato allegro e le pensioni generose coi debiti dello Stato. I creditori rinnovano prestiti sempre più rischiosi solo a tassi d’interessi sempre più alti, finché non si fidano più e provocano l’insolvenza del debitore. Se questo è un ente pubblico, si innescano meccanismi politici di risanamento (svalutazioni, fondo monetario internazionale, ristrutturazione del debito) comprensivi inevitabilmente di dolorose decurtazioni per la popolazione coinvolta.

In Svizzera ci fu il caso del Comune di Leukerbad, già fiorente stazione termale, dove ancora si vedono le cicatrici. Se il fallito è privato, si suddivide tra i creditori quel che ancora ha, spesso più niente in una economia che spinge il credito all’estremo.

Una parentesi. Non è nuova l’insofferenza per personaggi che dell’aprire attività commerciali, indebitarle, farle fallire e riaprirne altre hanno fatto una professione. Essi danneggiano una concorrenza corretta. D’altra parte un’economia che ha bisogno di imprenditorialità e innovazione deve permettere agli onesti che ci provano di fallire senza distruggerli. Leggi civili e penali, fondate su secoli d’esperienza, hanno creato un equilibrio tra queste contrastanti necessità: precisano se e quando chi amministra una società fallita può essere chiamato a rispondere di tasca sua, o perfino mandato in prigione. 

In sostanza però l’economia di mercato poggia sulla calcolata presa di rischio di chi fa credito. Non solo banche o investitori, il cui guadagno paga il rischio assunto per attività altrui. Anche i fornitori sono esposti al dilemma tra farsi pagare in anticipo o perdere un cliente. Perfino ormai chi acquista biglietti di compagnie aeree. 

C’è un rimedio a questo, tranne la consapevolezza del rischio che si assume (e quindi limitarlo, differenziarlo, assicurarlo quando si può)? No. Perché è insito nella libertà economica.

Quando i paesi del blocco sovietico abbandonarono il socialismo, la prima misura fu di regolare il fallimento. Nel socialismo reale la salvaguardia del lavoro aveva priorità e lo stato ripianava i debiti delle aziende, comunque tutte pubbliche, finché il sistema come tale è fallito.

Torniamo a Campione d’Italia. Non sappiamo quale meccanismi politici (per il comune) e di diritto privato (per il casinò) saranno applicati per sanare la situazione. Forse al casinò sarà concesso di riaprire e in qualche modo lo Stato chiuderà o rinvierà il buco.

 Dieci anni fa in Svizzera ci fu il salvataggio dell’UBS da parte di Confederazione e Banca nazionale. In questi giorni sono state pubblicate interessanti rievocazioni: il salvataggio fruttò un lauto guadagno ai contribuenti e a perdere furono gli azionisti, come giusto che fosse. In altri paesi andò diversamente.

Tutto questo per dire cosa? Che il primato tra politica ed economia non è una questione di astratti principi. La politica può avere la preminenza in circostanze eccezionali. In guerra si restringono libertà e si confiscano beni. Il problema nasce quando principi economici sono ignorati dalla politica, e su questa ignoranza si fondano programmi e promesse, o la pratica quotidiana.

Il comunismo ipotizzava un’utopica nuova economia, che proibiva l’interesse personale e imponeva la solidarietà, ma creò impoverimento generale e abuso del potere. Il populismo non ha ambizioni di dottrina economica: cerca il consenso facile incurante delle contraddizioni. Non bisogna aspettare i partiti al governo oggi in Italia per vederne gli esempi: la nostra Lega prometteva una cassa malati pubblica con bassi premi e nel contempo la riduzione delle imposte. Una presa in giro, per chiunque ragionasse, ma portava voti.

Alla prova dei fatti, l’unico strumento di consenso facile è sbancare la cassa, finché dura. C’è poi anche lo strumento, e costa niente, di dare la colpa a qualcuno. Chi vorrebbe star meglio crede facilmente che l’impedimento sta in privilegi o angherie altrui. Campione può dare la colpa all’apertura di casino in Ticino o ai giochi su Internet. Dentro e fuori l’enclave si può dare, un po’ per tutto, la colpa all’Europa o a chi, su scala europea, crede necessarie e possibili regole fondate sul mutuo interesse.

*Articolo tratto dall'ultimo numero di Opinione Liberale

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