POLITICA E POTERE
Fabio Regazzi: "Dalla casalinga e l'imprenditore nei gloriosi anni '60, alla rivoluzione industriale 4.0: il ruolo della donna nell'impresa"
Il discorso del presidente di AITI in occasione dell'assemblea generale: "Il successo imprenditoriale di mio padre, per metà è stato merito di mia madre"

di Fabio Regazzi*

“Noi non viviamo in un’epoca di cambiamento ma in un cambio d’epoca”, scrive il Prof. Jan Rotmans dando voce a una sensazione che avvertiamo ogni giorno. Eppure la storia ci dice che l’uomo e le organizzazioni economiche e sociali cui egli dà vita, si sono già trovati più volte di fronte a questi momenti di cambiamento e che spesso alcune “minoranze creative”, proprio in queste occasioni hanno generato paradigmi, riflessioni e modelli innovativi.

È quello che è accaduto e sta accadendo in questi anni anche in Ticino, senza che ce ne rendiamo conto. Mentre i mass media ci inondavano di messaggi contrastanti e spesso negativi sulla nostra realtà economica e industriale, mentre la politica in alcuni episodi non ha dato il meglio di sé, mentre in altri paesi stanno prevalendo ideologie ostili soprattutto alla diversità, alcune persone, invero non poche, e le loro imprese, stavano già percorrendo nuove strade per raggiungere altri obiettivi.

È a queste imprese, alle donne e agli uomini che con competenza e passione le animano, che è dedicata questa Assemblea, nella certezza che soprattutto ascoltando le loro storie sia possibile recuperare alcune chiavi di lettura e soluzioni che questo cambiamento epocale ci esorta a sviluppare.

Parleremo quindi di voi e del capitale umano che compone le vostre aziende.

Per capire il perché dell’oggi dobbiamo però fare un passo indietro di qualche decennio.

I gloriosi anni ’60: la casalinga e l’imprenditore

Correvano gli anni ’60, quelli del boom economico. Ma per le donne invece del progresso regnava la segregazione domestica, che era molto maggiore rispetto a un secolo prima, quando l’economia agricola poggiava anche sul contributo delle donne che affiancavano gli uomini nelle fatiche dei campi.

Agli inizi del Novecento in Ticino, il settore industriale registrava ancora una forte crescita dell’occupazione femminile, che raggiunse il 40% della popolazione residente nel 1920, per toccare il 50% nel 1926. Una proporzione che la letteratura storica colloca persino superiore ai dati svizzeri. Dopo la seconda guerra mondiale, con l’avvento della crescita economica, si rafforzò la suddivisione dei ruoli che scalzò la manodopera femminile dal mercato del lavoro. Per loro il tasso di attività (definizione dell’epoca) scese al di sotto del 30% già agli inizi degli anni ’50 e toccò il suo punto più basso nella storia del Ticino agli inizi degli anni ’60 con un 28% di donne lavoratrici. Erano gli anni in cui la forte pressione sociale esercitata sulle donne le induceva ad abbandonare studi e lavoro per sposarsi.

Fu in quel contesto che tra il 72% che componeva l’esercito delle casalinghe per definizione professionalmente “inattive”, vi era Elena, nata Reggiori, che nel 1961 convolò a nozze con Efrem Regazzi:  un brillante imprenditore del locarnese, fortemente impegnato in quel periodo a trasformare la rustica forgia ereditata dal padre Roberto in una moderna industria, da dove più tardi uscirono le persiane avvolgibili, considerate ancor oggi il prodotto di punta dell’azienda.

Il 22 giugno 1962, data che per una strana congiunzione astrale coincide con la fondazione di AITI, nessuno del personale ostetrico dell’Ospedale Santa Chiara, che dista a qualche centinaio di metri da qui, avvertì l’assenza di Efrem Regazzi dalla sala parto, dove nacque da lì a poco il suo primogenito, il piccolo Fabio, ossia chi vi parla... A quei tempi, il parto era considerato una faccenda prettamente femminile dalla quale l’uomo era escluso: e così fu anche per Efrem e credo ne sia tutt’oggi ancora sollevato.

Erano gli anni per cui il lavoro rimaneva un momento di passaggio nel ciclo di vita della donna-madre. I decenni in cui le donne uscivano dall’amministrazione pubblica, dall’insegnamento, dalla produzione industriale al momento del matrimonio per “responsabilità familiari”. Oppure licenziate alla nascita del primo figlio. Mia madre rientrava nella prima delle categorie quindi evitò quella che oggi consideriamo a tutti gli effetti una violazione della Legge federale sul lavoro.

Ripensando ai miei genitori, l’una considerata dalle statistiche “inattiva” perché casalinga e madre, l’altro invece rubricato come “attivo” perché imprenditore, non posso esimermi dal riconoscere a mia madre almeno la metà dei successi imprenditoriali di mio padre, non tanto percheé l’accompagnasse in azienda - ai quei tempi sarebbe stato impensabile - ma perché occupandosi di noi figli, gli ha assicurato tranquillità, serenità nel suo lavoro, e pure dimostrato capacità e competenze imprenditoriali diverse, gestendo per decenni una famiglia di quattro figli tra cui l’incorreggibile giamburrasca che ero.

57 anni dopo: rivoluzione industriale 4.0 e il difficile cambio culturale

Interrompo la narrativa famigliare, e per parlare dell’oggi mi affido ancora a dati e cifre, che hanno il pregio di essere incontrovertibili. E cosa leggiamo?

Vediamo che la figura della casalinga degli anni ’60 è stata oggi in gran parte soppiantata dalla donna con un impiego. In tutti i paesi europei la presenza delle lavoratrici è aumentata di molto, ed è simile a quella degli uomini sino a quando raggiungono i 30 anni d’età, dopodiché, complice l’arrivo dei figli, diminuisce e resta sempre inferiore a quella maschile. Questa differenza tende però a ridursi con il passare del tempo. Rispetto al 2000 le donne interrompono meno sovente la propria attività professionale e quando lo fanno ritornano più spesso al lavoro. 

Questa situazione - che sulla carta può apparire ideale - in realtà non soddisfa gran parte delle persone interessate. I dati dei sottoccupati in Ticino, ossia di coloro che hanno un lavoro e che vorrebbero lavorare di più, sono raddoppiati negli ultimi 10 anni: erano un lavoratore su dieci nel 2015. Tra loro nei due terzi dei casi troviamo le donne.

Se a questa fotografia affianchiamo quella della differenza salariale tra generi (dato mediano per l’intera economia nazionale) vediamo che tra uomo e donna in Svizzera sussiste ancora un divario di ca. 800 franchi mensili. 

È un dato che ci interpella direttamente come imprenditori perché spesso viene letto come la risultanza di una discriminazione di genere. Sappiamo però che questa differenza è perlopiù frutto di una diversità nelle caratteristiche professionali tra i due sessi, determinate appunto dal fatto che una donna, come ricordato prima, cessa o riduce la sua esperienza lavorativa alla nascita del primo figlio, si forma generalmente in ambiti come quelli dell’educazione e della cura che registrano medie retributive inferiori alle professioni tecniche, e/o più difficilmente accede a posizioni dirigenziali.

Tutti fattori che sottolineano l’importanza di sostenere un cambiamento culturale già in parte in corso, per il quale noi esponenti del mondo industriale cantonale possiamo ancora contribuire fortemente per aprire anche i settori più refrattari ai talenti femminili, tema appunto della discussione che seguirà.

Cosa fanno le imprese che fanno impresa?

È infatti dimostrato come le aziende con buone pratiche in materia di diversità di genere godono anche di migliori indici di sostenibilità finanziaria. La letteratura ci dice infatti che l’equilibrio all’interno del capitale umano passa attraverso la composizione di gruppi misti. Lo dimostra anche una ricerca dello scorso anno del Fondo monetario internazionale che evidenzia come la diversità apporta valore di per sé, e che le donne sono portatrici di competenze e attitudini complementari a quelle maschili. È però la combinazione di esse – quelle femminili con quelle maschili - a produrre maggiore efficienza, produttività e innovazione.

Anche in Ticino si conferma l’emergere di nuovi modelli di business, in grado di superare le contraddizioni del modello socio-economico precedente, a partire da una riconciliazione tra obiettivi economici e benessere sociale. Una caratteristica comune di queste aziende capitanate dalle “minoranze creative” di cui dicevo in entrata, è la loro determinazione nel rispondere a quanto sempre più la società chiede: la promozione di un maggiore equilibrio tra vita e lavoro che queste aziende perseguono sotto il cappello del welfare aziendale. 

A tale proposito la rivoluzione tecnologica ci viene in aiuto: il lavoro 4.0 impone una preparazione sempre più ampia nelle cosiddette materie STEM (science, technology, engineering and mathematics), fattore critico per le donne che sono, al momento, sottorappresentate in queste discipline. Al tempo stesso prevede criteri di flessibilità, ad esempio di orari e spazi, che invece vanno incontro alle necessità delle lavoratrici, e un’attitudine al lavoro di squadra che spesso caratterizza le competenze femminili.

Questo per dire anche che, informando di più e meglio le ragazze sulle opportunità professionali e di carriera offerte dal ramo industriale sin dalla formazione, è possibile spezzare gli stereotipi riguardo una preclusione del nostro settore industriale nei confronti delle lavoratrici femminili.

AITI e la sensibilizzazione verso la diversità

Da quest’anno AITI è partner istituzionale, assieme ad altri tre attori, la Camera di commercio del Cantone Ticino, Equi-lab e Pro Familia della Svizzera italiana, con il compito di sensibilizzare il mondo industriale al grande tema della gestione equilibrata della vita privata e professionale. Si tratta di un capitolo delle misure sociali approvate lo scorso anno accanto al pacchetto fiscale, che comprende l’implementazione di misure a sostegno di un maggiore equilibrio famiglia-lavoro. Restiamo convinti che questo modello di nuovo partenariato territoriale sia la chiave di volta per valorizzare il talento femminile a tutti livelli aziendali.

Per concludere un ultimo pensiero lo rivolgo alla casalinga e all’imprenditore degli anni ’60: carpire alcune trame del passato che li hanno visti protagonisti, mi ha aiutato a comprendere come noi imprenditori possiamo essere i protagonisti di un importante cambiamento culturale. La partecipazione femminile al mercato del lavoro, dipende quindi anche dal nostro contributo, nonché dal nostro gusto di “costruire”. E per compiere questa grande impresa non possiamo privarci della creatività, del modo di essere, delle visioni e delle peculiarità che animano l’altra metà del cielo. Ma anche di ognuno noi, che costantemente, tra gli inevitabili alti e bassi, cerca di dare un senso e una direzione al proprio lavoro, coltivando per sé e per gli altri un futuro migliore.

La sfida che ci accompagna quotidianamente nella nostra attività di imprenditore o di collaboratrice e collaboratore è cercare di promuovere ciò che unisce e non ciò che divide, ciò che produce un valore comune e non il perseguimento autoreferenziale di singoli obiettivi. È la continua ricerca di quel pezzo di bene comune, enorme e delicato nel contempo, che è possibile raggiungere solo quando la partecipazione femminile e maschile nel lavoro sono ben armonizzate e diventano collaborazione fattiva, intelligenza collettiva nel produrre quell’energia tipica dei contesti in cui elementi eterogenei ma complementari si incontrano sapientemente.

*Presidente AITI - Discorso pronunciato in occasione dell'Assemblea generale di Locarno

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