Lo hanno annunciato in conferenza stampa Parmelin, Cassis e Keller-Sutter. Non si sono trovate soluzioni condivise sulla cittadinanza europea e sulla protezione dei salari dei lavoratori. Il Consiglio Federale vuole portare avanti la via bilaterale
BERNA - Seconda conferenza stampa da Berna oggi, tematica del tutto diversa da quella di un paio di ore fa, quando si è parlato di Covid e aperture. Argomento infatti l'accordo quadro, di cui è stato definito il game over.
Parmelin: "Abbiamo già informato von der Leyen"
"Il Consiglio Federale ha esaminato il risultato sull'accordo istituzionale con l'UE, facendo una valutazione globale. Dopo il mio incontro con von der Leyen abbiamo consultato le commissioni della politica estera, delle Camera e ha sentito i Cantoni, coinvolgendo anche le parti sociali, prendendo in considerazione queste consultazioni e in base ai risultati negoziali degli ultimi mesi abbiamo constatato che gli accordi con l'UE sui cittadini europei, sulla protezione dei salari non ha portato alle soluzioni adeguate. Di seguito abbiamo deciso di mettere fine a questo accordo. Dopo la riunione odierna ho parlato con la Presidente della Commissione Europea, la nostra segretaria è volata a Bruxelles e ha consegnato la lettera con le nostre informazioni".
"Nel novembre 2018 l'UE ci aveva detto che i negoziati per loro erano chiusi, una posizione unilaterale di cui avevamo preso atto. Per noi le misure accompagnamento e le direttive sul diritto dei cittadini non erano adeguate. Nel 2019 abbiamo avuto degli incontri, abbiamo poi avuto bisogno dei chiarimenti, che abbiamo scritto in una lettera".
"Le nostre esigenze si basano su un grande supporto politico. Ci serve l'appoggio di tutti. La nostra posizione è sempre stata elaborata con le parti sociali e i Cantoni. Avevamo incaricato il DFAE di parlare con l'UE per i chiarimenti".
Cassis: "Ecco le differenze"
"Abbiamo lavorato molto per portare un compromesso con l'UE. Le differenze sostanziali sono rimaste, anche dopo incontri, sui due temi relativi alla libera circolazione".
"Sui cittadini UE, noi abbiamo una condizione diversa su quanto significa libera circolazione. Per noi vuol dire che i lavoratori e le famiglie, quando vengono in Svizzera, devono mostrare di avere abbastanza fondi per sopravvivere. Per l'UE il concetto è stato ampliato con la cittadinanza UE: essere cittadini UE fa andare oltre la libera circolazione dei lavoratori. L'UE non è disposta a fare in modo che si possa anche non recepire questa direttiva dal punto di vista svizzero, noi invece eravamo contrari al recepimento. Questo riguarda il diritto al soggiorno duraturo o l'estensione dell'aiuto agli aiuti sociali per chi non è attivo lavorativamente. Un recepimento globale sarebbe stato un completo paradigma riguardo a quanto già accettato da popolazione e Cantoni sull'immigrazione, con influenze anche sugli aiuti sociali".
"Per quanto riguarda la protezione dei salari dei lavoratori, in teoria le idee sono simili tra noi e l'UE. Ma le due parti mettono in pratica in modo diverso il principio. L'UE ha reagito a delle nostre proposte con delle contro proposte ma non ha accettato il nostro obiettivo, ovvero la protezione delle misure di accompagnamento indipendentemente dallo sviluppo delle normative UE. Senza questo le misure protettive contro il dumping salariale non sarebbero state per forza efficienti".
"Sugli aiuti statali c'è stata la possibilità di avvicinamento tra le parti ma il presupposto era di trovare soluzioni sui primi due punti, come non è avvenuto".
"All'inizio dei negoziati con l'UE abbiamo fatto diverse concezioni perché per noi il recepimento dinamico del diritto UE è fondamentale. Una clausola avrebbe reso impossibile disdire l'accordo. Accettarlo avrebbe cambiato i rapporti con l'UE e ci avrebbe richiesto una grande disponibilità al compromesso sul piano interno. Tenendo conto delle concessioni di cui ho parlato, la Svizzera deve proteggere i suoi interessi, come nel settore della libera circolazione. Il Consiglio Federale, dati i tre punti ancora da chiarire, non ha più avuto margine di manovra".
"Si tratta di interessi preponderanti per il nostro paese, ribaditi dai Cantoni, dalle parti sociali e da gran parte dei partiti".
"Già da qualche tempo ci siamo occupati di queste misure e siamo coscienti del fatto che l'accordo istituzionale non firmato potrebbe essere accompagnato da svantaggi. L'UE non è disposta, senza di esso, a siglare ulteriori accordi per permettere l'accesso al mercato da parte nostra o a aggiornare quelli esistenti, a meno che non abbia interessi suoi. Alcuni sono bloccati nel tempo, ora l'UE blocca l'aggiornamento di accorci esistenti, pensiamo ai dispositivi medici. Inoltre lega gli accordo di cooperazione, come quelli per far parte dei programmi di ricerca, all'accordo quadro. Riteniamo che questi blocchi siano avulsi, non c'entrino nulla e siano controproducenti. Non dobbiamo essere trattati peggio di stati terzi, in merito a cooperazione o riconoscimento delle equivalenze. Da tempo abbiamo iniziato a cercare dei sistemi per ovviare alle conseguenze negative della mancata firma. Una è l'ordinanza per proteggere l'infrastruttura borsistica svizzera, del 2019. Settimana scorsa abbiamo adottato delle misure bilaterali per i dispositivi medici".
"L'accesso peggiorato per le aziende svizzere nel mercato UE avrà conseguenze che non possiamo attutire. Per la partecipazione a Horizon, abbiamo un po' di opzioni".
"L'UE è un partner importantissimo per noi. Von der Leyen è già stata informata della decisione e abbiamo scritto come vorremmo continuare i rapporti. Restiamo un partner affidabile e impegnato per loro. Per quanto riguarda il secondo contributo svizzero, ci adopereremo per sbloccare in fretta i fondi. Inoltre quando si tratta dei nostri rapporti bilaterali e delle sfide a questi ultimi, vogliamo risolverle in modo positivo, garantendo un'applicazione non problematica. Vogliamo proseguire il partnenariato con l'UE con gli accordi bilaterali, se possibile per gli interessi reciproci. Cercheremo di stilare un'agenda comune per rafforzare la nostra collaborazione".
"Ci aspettiamo che gli accordi bilaterali siano applicati in modo coerente anche in futuro e che quelli che funzionano possano essere portati avanti".
"Vorrei dirlo a chiare lettere: la Svizzera e l'UE rimarranno partner legati, la collaborazione bilaterale si basa su centinaia di accordi che restano in vigore. L'UE è il nostro partner più importante, noi siamo uno dei più importanti per loro. 1,4 milioni di cittadini UE vivono qui, ci sono 340mila frontalieri che vengono a lavorare qui e 200mila persone che vengono qui con notifica. Condividiamo gli stessi valori di fondo, siamo parte della comunità del valori europei"
Keller-Sutter: "Vogliamo portare avanti e sviluppare i bilaterali"
"Vogliamo portare avanti e approfondire i bilaterali. La Svizzera è andata spesso alle urne e si è espressa più volte su temi che riguardano l'UE, insistendo sulla via bilaterale".
"Con l'accordo istituzionale avremmo voluto una base comune. Anche se l'accordo istituzionale non verrà concluso vogliamo collaborare e contribuire. Le differenze giudiriche? Non sappiamo, la collaborazione transfrontaliera potrebbe diventare più difficile. Il mio Dipartimento dovrà apportare delle modifiche per stabilizzare gli accordi. Andremo a vedere se ci potranno essere delle modifiche normative del diritto svizzero".
"L'obiettivo della verifica delle differenze di diritto tra noi e l'UE non è voler recepire il diritto UE. Non vogliamo recepire il diritto UE. Guardiamo tutto con un occhio positivo, diamo loro un doppio segnale: l'accordo istituzionale non è andato a buon fine ma i rapporti bilaterali vanno stabilizzati ulteriormente. È anche un segnale politico al nostro paese: se non firmiamo e diciamo sì alla via bilaterale, possiamo trovare le soluzioni giuste per il nostro Paese per avere dei buoni rapporti con l'UE. Lo facciamo in modo autonomo. Bisogna anche vedere quale sarà la politica europea. Vogliamo eliminare le divergenze tra i diritti, il segnale positivo è doppio: anche se l'accordo non è giunto a buon fine ma dobbiamo stabilizzare e sviluppare comunque i rapporti, e a livello interno diciamo che vogliamo la via bilaterale, grazie ai nostri successi politici consolidati siamo in grado di sviluppare delle soluzioni per salvaguardare gli interesi di noi tutti nei rapporti con l'UE".
Parmelin: "Vogliamo continuare a collaborare"
"Oggi abbiamo posto la parola fine ai negoziati sull'accordo istituzionale. Il primo obiettivo della politica europea svizzera è di continuare a collaborare strettamente con l'UE. Dal nostro punto di vista va nell'interesse di tutti, della Svizzera e dell'UE, stabilizzare i rapporti. La Svizzera vede l'UE come un partner di prima classe e viceversa. Vogliamo avere un dialogo costante con l'UE e rafforzare i nostri rapporti con un'agenda comune".
Ecco il comunicato del Consiglio Federale:
"Nella sua seduta del 26 maggio il Consiglio federale ha sottoposto i risultati dei negoziati sull’Accordo istituzionale a una valutazione globale e ha constatato che sussistono ancora divergenze sostanziali tra la Svizzera e l’UE in alcuni settori chiave. Dal suo punto di vista le condizioni per una conclusione dell’Accordo non sono soddisfatte. Pertanto ha deciso di non firmarlo e lo ha comunicato oggi all’UE. Terminano così i negoziati sulla bozza di accordo. L’Esecutivo ritiene tuttavia che sia nell’interesse comune della Svizzera e dell’UE salvaguardare la collaudata via bilaterale e portare avanti con convinzione gli accordi esistenti. Per questo motivo intende avviare un dialogo politico con l’UE sul proseguimento della collaborazione. Contemporaneamente ha incaricato il DFGP di esaminare in che modo si potrebbero stabilizzare le relazioni bilaterali attraverso eventuali adeguamenti autonomi della legislazione nazionale.
I colloqui con l’UE non hanno permesso di trovare le soluzioni di cui la Svizzera aveva bisogno nei settori della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE, della protezione dei salari e degli aiuti di Stato. In particolare per quanto riguarda la protezione dei salari e la citata direttiva (cfr. Allegato «Risultati dei colloqui tra la Svizzera e l’UE sui punti da chiarire: protezione dei salari, direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE e aiuti di Stato») permangono divergenze sostanziali.
I punti menzionati rappresentano interessi essenziali per la Svizzera. Senza le correzioni auspicate, infatti, non sarebbe soprattutto garantita l’azione di tutela delle misure di accompagnamento attualmente in vigore. Nel caso di un eventuale recepimento della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE nell’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC), devono essere esplicitamente stabilite alcune eccezioni, senza le quali c’è il rischio che i diritti delle persone che beneficiano della libera circolazione siano estesi, con possibili ripercussioni anche sui costi dell’assistenza sociale. Il recepimento integrale equivarrebbe di fatto a un cambio di paradigma nella politica migratoria, che gode di ampia accettazione tra la popolazione e i Cantoni.
Il Consiglio federale intende difendere questi interessi essenziali e, ritenendo che non siano soddisfatte le condizioni per concludere l’Accordo, ha dunque deciso di non firmarlo. Il presidente della Confederazione Guy Parmelin ha informato oggi per iscritto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di questa decisione. Terminano così i negoziati con l’UE sulla bozza di accordo istituzionale. Prima di prendere questa decisione, il Consiglio federale ha consultato e sentito le Commissioni della politica estera dell’Assemblea federale e i Cantoni. Anche le parti sociali sono state informate. I risultati di questi colloqui sono confluiti nella decisione dell’Esecutivo.
Necessità di chiarimento
L’Accordo istituzionale aveva lo scopo di assicurare anche in futuro l’accesso della Svizzera al mercato interno dell’UE e di permetterne l’ulteriore ampliamento.
L’Accordo avrebbe rappresentato un cambiamento radicale nelle relazioni tra la Svizzera e l’UE. Nell’ambito degli accordi di accesso al mercato sarebbe stato introdotto il principio del recepimento dinamico del diritto. Era poi prevista l’istituzione di una procedura di composizione delle controversie per mezzo di un tribunale arbitrale. La Corte di giustizia europea sarebbe stata coinvolta laddove fosse stato necessario interpretare il diritto dell’UE.
Con il suo mandato negoziale del 2013 il Consiglio federale si prefiggeva di salvaguardare per il futuro le misure di accompagnamento ed escludere l’eventualità che la Svizzera fosse obbligata a recepire la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE nell’ALC. Nella bozza di accordo del novembre 2018, tuttavia, questi punti non erano regolati affatto, o non adeguatamente. Per questo motivo allora il Consiglio federale ha rinunciato a parafare l’Accordo e ha avviato consultazioni politiche interne. Dalle consultazioni è emersa l’esigenza di chiarimenti nelle due aree citate oltre che nel settore degli aiuti di Stato. Le richieste avanzate nei confronti dell’UE su questi tre punti godevano di un ampio sostegno politico interno e sono state appoggiate dai Cantoni, dalle parti sociali e dalla maggioranza dei partiti.
Colloqui sostanziali con l’UE
Nella sua seduta dell’11 novembre 2020 il Consiglio federale ha precisato la sua posizione in merito ai tre punti da chiarire. I Cantoni e le parti sociali sono stati coinvolti nel processo di elaborazione e, su questa base, sono stati avviati i colloqui con l’UE. Dal gennaio 2021 hanno avuto luogo sei tornate negoziali oltre a una serie di altri contatti tra la segretaria di Stato Livia Leu, caponegoziatrice della Svizzera, e Stéphanie Riso, vicecapo di gabinetto della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
In questi colloqui la segretaria di Stato Livia Leu è stata accompagnata dal segretario di Stato Mario Gattiker (Segreteria di Stato della migrazione SEM) o dalla segretaria di Stato Marie-Gabrielle Ineichen-Fleisch (Segreteria di Stato dell’economia SECO), a seconda del tema da trattare. La Svizzera ha trasmesso proposte scritte con richieste concrete e ha anche spiegato le sue posizioni oralmente. Ha inoltre risposto sistematicamente, in modo chiaro, a proposte concrete dell’UE.
I colloqui hanno consentito di migliorare la comprensione reciproca delle rispettive posizioni, che sono tuttavia rimaste distanti in termini di contenuto. Per tracciare un bilancio politico dei negoziati il presidente della Confederazione Guy Parmelin e la presidente della Commissione europea si sono incontrati a Bruxelles il 23 aprile 2021.
Misure di attenuazione
La decisione di non firmare l’Accordo istituzionale segna la fine di un processo negoziale durato sette anni, durante il quale il Consiglio federale ha costantemente valutato i progressi fatti e definito, all’occorrenza, i nuovi passi da fare.
Il Consiglio federale è consapevole del fatto che la mancata conclusione dell’Accordo porterà con sé anche effetti negativi, come ha già più volte comunicato. L’UE ha per esempio dichiarato in varie occasioni di non essere disposta a concludere nuovi accordi di accesso al mercato in mancanza di un accordo istituzionale.
L’Esecutivo ritiene tuttavia che sia nell’interesse di entrambe le parti che gli accordi esistenti (come quello relativo agli ostacoli tecnici al commercio [MRA], per quanto riguarda i dispositivi medici) continuino a essere aggiornati e che non vengano stabiliti collegamenti politici non pertinenti che coinvolgano, per esempio, la cooperazione nel campo della ricerca o l’equivalenza delle borse. Conta inoltre sul fatto che non sia accantonata la cooperazione in ambiti collaudati, come quelli della sanità e dell’elettricità.
Per mitigare le conseguenze negative, il Consiglio federale ha da tempo cominciato a pianificare e parzialmente attuare misure di attenuazione volte a contenere i danni, tra cui la misura di protezione dell’infrastruttura delle borse svizzere attivata nel giugno 2019 con cui la Svizzera ha reagito alla revoca del riconoscimento dell’equivalenza da parte dell’UE.
Nel settore dei dispositivi medici, il Consiglio federale ha già adottato provvedimenti unilaterali per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e la sorveglianza del mercato anche in assenza di un aggiornamento del relativo capitolo dell’MRA.
Proseguimento della via bilaterale
Secondo il Consiglio federale, è nell’interesse comune della Svizzera e dell’UE portare avanti la collaudata via bilaterale anche senza la conclusione di un accordo istituzionale.
La cooperazione si basa su un complesso di oltre 100 accordi bilaterali. Con i suoi 27 Stati membri, l’Unione europea è il partner più importante della Svizzera. La Svizzera, da parte sua, è uno dei più importanti partner commerciali dell’UE: il quarto per quanto riguarda il commercio di beni, il terzo per i servizi e il secondo per gli investimenti. La bilancia commerciale dell’UE presenta inoltre un’eccedenza stimata in decine di miliardi di euro. In Svizzera vivono 1,4 milioni di cittadine e cittadini dell’UE, cui si aggiungono circa 340 000 frontaliere e frontalieri UE e ben più di 200 000 persone all’anno soggette a notifica provenienti da Stati UE/AELS.
La Svizzera condivide i valori sui cui si basa l’Europa e si impegna a fianco dell’UE per affrontare le sfide globali, in particolare la protezione del clima, la promozione dei diritti umani, la pace e la sicurezza, e la lotta contro la povertà. Insieme all’UE lavora per rafforzare la cooperazione nei settori della salute, della tutela dell’ambiente, dello sviluppo regionale e della digitalizzazione, e si mostra solidale con l’Unione nelle questioni migratorie.
Un dialogo politico per un’agenda comune
Anche senza un accordo istituzionale, la Svizzera rimane un partner affidabile e impegnato dell’UE e dà un contributo costruttivo a una collaborazione ben funzionante che continua a essere nell’interesse di entrambe le parti.
Per quanto riguarda il secondo contributo svizzero, il Consiglio federale si adopererà affinché il Parlamento sblocchi al più presto i fondi e si giunga rapidamente a una finalizzazione del memorandum d’intesa con l’UE.
L’Esecutivo intende inoltre mantenere e – qualora sia possibile e risponda al reciproco interesse – ampliare il partenariato con l’UE tramite i trattati bilaterali. Propone quindi all’UE di avviare un dialogo politico al fine di sviluppare e attuare un’agenda condivisa sulla futura collaborazione e punta a cercare di risolvere insieme problemi specifici, garantendo così l’applicazione quanto più fluida possibile degli accordi esistenti.
Esame autonomo della legislazione svizzera per stabilizzare gli accordi bilaterali
Il Consiglio federale ha incaricato il Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) di esaminare, in collaborazione con gli altri dipartimenti, la possibilità di adeguare autonomamente la legislazione nazionale allo scopo di stabilizzare le relazioni bilaterali. L’Ufficio federale di giustizia individuerà le attuali divergenze tra il diritto dell’UE e l’ordinamento giuridico svizzero e chiarirà dove l’armonizzazione giuridica potrebbe essere utile e di reciproco interesse. Si tratterà di un processo autonomo che coinvolgerà le parti sociali e i Cantoni".