Il compromesso svizzero sul green pass, soluzione prudente e ragionevole nella confusione europea
di Andrea Leoni
La fotografia odierna dell’Europa, 15 novembre 2021, è una formidabile rappresentazione dell’incertezza che regna sull’attuale fase di contrasto alla pandemia. Il Continente sta affrontando la quarta ondata con ricette diverse, in qualche caso antitetiche. C’è un unico comune denominatore nelle politiche dei governi europei: il vaccino. Il farmaco ha dato finora buona prova di sé, sia sul fronte della protezione della malattia grave, sia sul fronte della sicurezza negli effetti collaterali. È una coperta con qualche buco, e anche un po' corta, ma se fuori fa freddo è molto meglio averla.
Una macro evidenza a sostegno di questa tesi ce la fornisce il nostro Cantone. Il 15 novembre 2020 - da lì a qualche settimana sarebbe cominciato un interminabile secondo lockdown - erano ricoverati in ospedale 344 pazienti, di cui 33 in cure intensive. Solo quel giorno ne vennero ricoverati 26 in un solo colpo, quasi gli stessi, 24, che oggi sono complessivamente ospedalizzati, di cui 5 in cure intensive. Ancora più evidente il dato che riguarda i decessi. Nei primi 15 giorni di novembre, un anno fa, ne contavamo ben 67. Nello stesso periodo di quest’anno 1 soltanto. L’unica differenza intercorsa tra i due periodi in esame è l’arma in più che l’anno scorso non avevamo e che oggi è a nostra disposizione: il vaccino, per l’appunto.
Anche sul fronte della sicurezza c’è da stare tranquilli: su circa 5,5 milioni di persone vaccinate in Svizzera con almeno una dose, dato di metà ottobre fornito da Swissmedic, le reazioni avverse gravi sono state circa 3’000. Parliamo dello 0,05%. In nessun caso è stato riscontrato un collegamento tra una vaccinazione e un decesso, pur essendoci stata un’indagine su 150 casi sospetti. Per dare un termine di paragone, secondo uno studio pubblicato nel 2018 dalla Confederazione, il 6% delle persone ricoverate contraeva un’infezione “ospedaliera”. Il che significa che è di gran lunga più rischioso essere degenti in ospedale che farsi vaccinare contro il Covid.
Ma se sulla bontà del vaccino abbiamo prove ormai consolidate, diverso è il discorso sulla durata della protezione del farmaco e su altri strumenti di contrasto alla pandemia, a cominciare dal green pass. “Booster” è la parola anglofona che abbiamo imparato a conoscere nelle ultime settimane. Sta per terza dose, o dose di richiamo, del vaccino. La politica europea, compresa quella svizzera, sembra ormai orientata al ricorso ad ampio spettro alla nuova iniezione. C’è chi ha già praticamente concluso questo nuovo ciclo vaccinale, Israele, e chi è in fase di forte accelerazione: Italia, Germania, Francia. Gran Bretagna. Proprio oggi Boris Johnson ha aperto a tutti gli over 40. Altri Paesi sono ancora su un fronte attendista: Spagna, Portogallo e la stessa Svizzera. Ma la strada da questo punto di vista appare abbastanza segnata. E se è vero come è vero che ci sono altri vaccini che richiedono tre dosi o più, nessuno oggi è in grado di dire quanto dureranno gli effetti benefici della nuova puntura.
Veniamo alla pietra centrale del dibattito, il green pass. Qui, se torniamo alla fotografia odierna dell’Europa, osserviamo un'applicazione a macchia di leopardo. Fino a stamane l’Italia era il Paese con l’attuazione più severa del certificato, imposto addirittura per lavorare. Ma da oggi la Penisola è stata scavalcata sulla via delle restrizioni dall’Austria, che ha messo in lockdown in non vaccinati, i quali potranno recarsi soltanto al lavoro, a fare la spesa o due passi. Il resto gli è precluso e i tamponi non valgono più. Francia e Germania mantengono per ora un’applicazione severa, con i tedeschi pronti ad estendere il pass a tutti i mezzi pubblici. Ma il tampone, al momento, vale ancora. Spagna e Portogallo non applicano il Covid pass. È vero che laggiù c’è un altissimo tasso di vaccinazione, ma risultati analoghi sono riscontrabili anche in Paesi che pretendono il certificato. Non è un'equazione esatta. In Olanda, dove è in vigore il pass, il Governo ha fatto un ulteriore passo, un lockdown soft, che prevede la chiusura di bar e ristoranti alle 20 e dei negozi di beni non essenziali alle 18.00. Interessantissimo il caso della Gran Bretagna, dove da mesi vige il liberi tutti, mascherine comprese. Nonostante abbia vissuto giornate da 50’000 casi, il governo britannico ha tenuto duro, senza fare retromarcia verso nuove restrizioni, come ad esempio l’introduzione del green pass. Concetto ribadito anche oggi dal premier Johnsonn: “Al momento non vediamo nulla nei dati che suggeriscano che dobbiamo andare al piano B, stiamo attenendoci al piano A”. E il piano A è l’estensione della terza dose: “La migliore protezione per il nostro Paese è che tutti vadano avanti e ottengano quel booster”. E poi c’è la Svezia, la solita Svezia, con il suo modello controcorrente: 70% dei vaccinati, nessun pass e terza dose come ipotesi ancora lontana all’orizzonte.
Questo quadro ci fa ben capire come il certificato Covid sia uno strumento applicabile (o no) in diversi modi. Questo caos è in buona parte dovuto a una domanda la cui risposta resta al momento irrisolta: si tratta di uno strumento politico o epidemiologico? Detto diversamente: è utile per contenere il propagarsi dell’infezione oppure serve prevalentemente per convincere la gente a vaccinarsi? Noi crediamo che occorra restare molto laici sul tema, osservando con grande attenzione e senza pregiudizi le varie sperimentazioni che stanno avvenendo fuori da casa nostra. Ben consapevoli che in questa fase di convivenza con il virus, occorre fare passi ponderati e il meno contraddittori possibili.
Per questo il compromesso svizzero, con un’applicazione assai liberale del certificato, ci pare oggi la soluzione più ragionevole e prudenziale tra i modelli agli antipodi in vigore in Europa: quello britannico e quello austriaco. Anche per questo sosteniamo con convinzione la legge Covid in votazione il prossimo 28 novembre.