POLITICA E POTERE
Ex funzionario del DSS, Andrea Giudici: "Audit o CPI, un dilemma. Ma il Parlamento decida in fretta"
L’ex deputato: “Il Gran Consiglio deve decidere in tempi brevi per ripristinare la fiducia nelle istituzioni. Lo chiedono le vittime e tutti i cittadini”
TiPress/Samuel Golay
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Di Andrea Giudici *

 

Il servizio di Falò dedicato alle vittime dei comportamenti inaccettabili e criminali dell’Innominabile ex funzionario del DSS ha giustamente indignato i cittadini ticinesi. Le vittime di una quasi ventennale degenerazione sessuale hanno riferito con amarezza, compostezza e indignazione quanto loro accaduto. Sono oggi giovani donne che non possono dimenticare.

Una di esse ha avuto il coraggio civile di apparire a viso scoperto di fronte alle telecamere e ai ticinesi per portare la sua testimonianza. Tutte hanno chiesto che sia fatta pienamente luce a ogni livello dell’amministrazione. Questa esigenza sale dal profondo della nostra comunità.

La giustizia penale ha chiuso il procedimento con sentenza definitiva. Il criminale ha evitato il carcere solo in virtù dell’attenuante del lungo tempo trascorso dai fatti. La giustizia penale ha accertato i reati, compresa una violenza carnale, solo in quanto poteva e doveva fare, cioè sui fatti per i quali non era intervenuta la prescrizione, causata dalla passività dello Stato.

Questa passività ha quindi procurato al criminale un doppio vantaggio nel processo penale: la prescrizione di alcuni episodi quindi non più punibili e l’attenuante specifica del lungo tempo trascorso per i fatti incriminati. La puntata di Falò non era affatto “barbara”, come scritto in una lettera di Damiano Realini sulla Regione, richiamando a sproposito Cesare Beccaria. Neppure può essere condivisa la tesi minimalista, per cui ci si dovrebbe occupare della vicende unicamente pro futuro. Il futuro non può prescindere dal passato.

La sentenza definitiva non chiude affatto la vicenda. Sussiste l’angosciante interrogativo posto dal collega Gianoni: “come mai sono potuti capitare e come mai l’illecito ha potuto protrarsi impunemente per anni?”.

Deve essere quindi chiarito come e perché non ha funzionato la catena amministrativa che stava al di sopra dell’ex funzionario. Questo acclaramento dei fatti deve avvenire con serietà, rigore, secondo una procedura inattaccabile. Senza di che si rischia che alcuni interessati intervengano sulla stampa, come già accaduto. Con rischio di inaccettabili derive dal profilo delle istituzioni.

Il dibattito è aperto sul come fare chiarezza sulle eventuali negligenze o connivenze all’interno dell’amministrazione in quegli anni.

Tre sono le opinioni al riguardo: un’inchiesta del Consiglio di Stato, l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare del Gran Consiglio, un audit esterno. A sostenere un’inchiesta amministrativa del Consiglio di Stato è rimasto solo l’avvocato Renzo Galfetti. In realtà il Consiglio di Stato si è estromesso da solo perché non agito tempestivamente quando ancora l’interessato aveva la qualità di funzionario. Un’inchiesta amministrativa e disciplinare non è oggi più possibile nei confronti di chi funzionario non è più, come dicono dottrina e giurisprudenza. Seguendo questa pressi il Tribunale federale ha negato al Consiglio di Stato l’accesso agli atti penali, perché la domanda del Governo non fondava su una procedura pendente davanti al Consiglio di Stato. L’innominabile è perfino andato in pensione con un ultimo scatto della rendita, concesso dal Governo pendente la procedura penale.  

L’organo designato per le indagini deve avere potere inquirente nei limiti delle leggi. Deve cioè avere la competenza di convocare tutte le persone utili alle indagini, con obbligo di comparizione, di interrogare, se del caso svolgere anche confronti assai delicati, acquisire tutti gli atti compresi quelli penali. Non può sfuggire che, come in tutti i casi di natura sessuale, si dovrà scontare la presenza di opposte versioni tra presunto autore e vittima.

La commissione parlamentare d’inchiesta ha questi poteri.

L’audit esterno, libero da vincoli di partito, veri o ipotizzati, non ha invece un suo autonomo riferimento legislativo e, di principio, non ha poteri inquirenti di indagine.

Occorre quindi uscire da questo dilemma. Il Gran Consiglio potrebbe motu proprio procedere a decretare la nomina dell’audit (una o più persone) conferendogli i poteri di inquisire con un preciso mandato. È una via da esplorare. Diversamente resta la commissione d’inchiesta, affiancata da giuristi esterni, per esempio ex giudici amministrativi ticinesi o federali.

Il Gran Consiglio deve decidere in tempi brevi per ripristinare la fiducia nelle istituzioni. Lo chiedono giustamente le vittime e tutti i cittadini.

 

* avvocato, ex deputato PLR in Gran Consiglio

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