Perché votare "sì" al pacchetto in favore dei media. E pensiamo alla stampa come alla cultura
di Andrea Leoni
Inutile girarci intorno: il pacchetto di aiuto ai media in votazione presenta degli elementi controversi. Soprattutto se si approccia alla problematica con una visione nazionale. Nella proposta sostenuta da Consiglio Federale e Parlamento vi sono alcune criticità evidenti, sulle quali i referendisti hanno gioco facile a ricamare la propria campagna. Giustamente, dal loro punto di vista. Il tasto più dolente concerne il sostegno ai grandi gruppi editoriali. Un altro punto scricchiolante riguarda il mancato aiuto ai media sul web che offrono gratuitamente i loro contenuti. Ci sarebbe poi molto da dire sull’omologazione editoriale messa in atto da alcuni grandi editori a livello nazionale. Ma questa è un’altra storia.
Il problema sta nel manico. Quando si elargiscono soldi, non potendoli distribuire a tutti, occorre giocoforza fissare dei criteri e ogni criterio crea scontenti e può essere interpretato come arbitrario, ingiusto, sbagliato. Si tratta di fare una ponderazione tra pro e contro. Una delle questioni da soppesare in questa votazione, detto brutalmente, è che per sostenere i media “poveri” vengono aiutati anche i ricchi. A nostro avviso, non essendo mai stati afflitti da invidia sociale, lo riteniamo un compromesso accettabile, soprattutto se il problema è posto su una bilancia ticinese. Dalla prospettiva del nostro Cantone, infatti, risulta del tutto irragionevole opporsi a tale pacchetto. In Ticino non vi sono mega-editori, siamo una piccola realtà regionale che raccoglie briciole di pubblicità - assolutamente non concorrenziale a livello svizzero - ma con molte realtà da raccontare e con un dibattito democratico sempre vivace.
Conosciamo bene l’affanno economico delle nostre testate - un affanno che sempre si ripercuote sulle redazioni e dunque sul buon lavoro giornalistico - e per questo riteniamo che sia corretto dare un mano ai nostri media, e ai nostri colleghi, in una fase in cui alla crisi strutturale della pubblicità si è sommata anche quella del Covid. Vorrei fare un esempio pratico, per capirci: la tv con la quale mi onoro di collaborare, TeleTicino, riceverebbe un aumento del canone, nel caso dovesse affermarsi il “sì”. Posso assicurare che questi denari verrebbero impiegati per rafforzare una struttura che giornalmente fa letteralmente i salti mortali per assicurare ai ticinesi un servizio pubblico di qualità. E ciò avverrebbe senza un solo franco di aumento della bolletta Serafe.
Tra le obiezioni formulate dai referendisti, quella davvero insensata, riguarda la presunta dipendenza tra Stato e media che verrebbe a crearsi nel caso il pacchetto dovesse essere approvato. Padrone comanda (lo Stato che paga), cavallo trotta (i media beneficiari), dicono. Se ciò fosse verso questo meccanismo dovrebbe verificarsi quotidianamente con gli inserzionisti privati. E non accade. Così come non accade con gli enti pubblici, a cominciare dal Cantone, che a scadenze regolari, pubblicizzano sui media le loro campagne. Si dice che in un sistema liberale - lo dice anche la NZZ - non dovrebbe esserci alcun finanziamento diretto tra lo Stato e i media. Ciò sarebbe giusto in un mondo liberale ideale, che però non esiste più, proprio perché è il libero mercato ad essere truccato dai grandi colossi tecnologici americani. E in qualunque segmento economico, dove non esiste la mano di un ente regolatore, lo Stato, a vincere e a comandare sono sempre e solo i più ricchi e i più potenti. È l’A,B,C del liberismo.
A dirla tutta, saremmo anche per fare un passo in più nel ragionamento. Se consideriamo una stampa forte e capillare, come un bene essenziale in una democrazia, dovremmo forse cominciare a metterlo sullo stesso piano della cultura: un settore che vive solo grazie all’intervento di contributi pubblici e privati, elargiti ad enti pubblici e privati, grandi e piccoli. E nonostante il grano dei padroni, la cultura trotta libera verso la sua missione di arricchimento della società, anche attraverso una forte critica o alla provocazione.
Ecco tutto questo per dire che il pacchetto a favore dei media non è perfetto, tutt’altro, ma vale la pena sostenerlo. Non buttiamo il bambino con l’acqua sporca. E lo diciamo nella consapevolezza che Liberatv non otterrà neppure un franco, qualora domenica dovesse vincere il “Sì”.