ll senatore ticinese: "Positivo l'incontro con i parlamentari ucraini, ma la conferenza, dipinta come un piano Marshall, alla fine non fa passi concreti"
LUGANO - Una delegazione di membri del Parlamento svizzero si è incontrata ieri con una quindicina di omologhi ucraini a margine della Conferenza per la ricostruzione dell'Ucraina. Tra loro il senatore ticinese - e presidente dell'UDC nazionale - Marco Chiesa. Ecco cos’ha dichiarato alla RSI nell’intervista a lui dedicata.
La sua prima impressione?
"É di luci e di ombre. Posso citare tra quelle positive l’incontro che abbiamo avuto con i parlamentari ucraini durante il quale abbiamo parlato del modello svizzero. Loro hanno bisogno di riforme nell’ambito della lotta alla criminalità e alla corruzione ed in ambito istituzionale. Ed evidentemente mi permetto di dire che la Svizzera è un esempio. Questo anche grazie alla nostra democrazia diretta. Quindi alcuni elementi svizzeri possono essere ripresi. Poi ci sono state anche delle ombre…".
Lei è da tempo tra gli scettici, ci spieghi...
"Questa conferenza è stata dipinta come un piano Marshall ed invece alla fine non riesce a fare dei passi concreti. È stata preannunciata la presenza di diversi capi di Stato, che poi in effetti hanno disertato. Ed infine l’idea è quella di dare un contributo alla ricostruzione del Paese, ma guardando la cartina mostrata ieri dal primo ministro ucraino si vede che gran parte di questa ricostruzione dovrebbe avvenire nel Donbass e nella regione di Lugansk, che oggi sono regioni in mano ai russi. E allora io mi pongo due domande: quando sarà prevista questa ricostruzione? E inoltre: i confini dell’Ucraina quali saranno?”.
Secondo lei è verosimile pensare che l’Ucraina possa riconquistare i territori che sono in mano ai russi?
“Moralmente lo possiamo auspicare. A livello di diritto internazionale sarebbe anche una cosa garantita. Poi, all’interno di un conflitto, c’è la necessità di avere una negoziazione ed un accordo finale. E quelle sono delle zone che dal 2014 hanno grandissimi problemi. Un domani si potrebbe parlare di repubbliche indipendenti. Tutti questi investimenti andranno a finire in queste repubbliche indipendenti? E verranno veramente finanziati, come è stato proposto dal primo ministro ucraino, dalle confische dei beni degli oligarchi russi? Perché oggettivamente in Europa abbiamo uno stato di diritto. Inoltre molti di questi fondi sono già in altri lidi e penso al Medio Oriente e a Dubai, ovvero in paesi che tra l’altro le sanzioni non le hanno adottate. In conclusione: il pragmatismo mi è venuto un poco a mancare”.
Lei crede nelle riforme annunciate dall’Ucraina?
“Queste riforme sono assolutamente necessarie. Loro stanno compiendo i primi passi per un’adesione all’Unione europea. E per poter concretizzare questa adesione devono poter dare determinate garanzie che oggi non ci sono. Ma non nascondo che, da questo punto di vista, i parlamentari ucraini ne sono assolutamente consapevoli. E a mio modo di vedere questa consapevolezza è il primo passo per poterli adottare. Uno stato centralista senza una tradizione di democrazia diretta e senza una tradizione democratica tout court e un’istituzione che sia federalista o decentralizzata, crea comunque delle problematiche”.
La delegazione ucraina ha citato proprio la Svizzera come esempio di democrazia …
“Penso che abbiano ragione. Io vedo il nostro contributo in tre ottiche. La prima sotto l’aspetto dell’aiuto umanitario. La seconda come paese neutrale che può essere in grado di essere parte di una soluzione, quindi proporsi come mediatore fra le due parti in conflitto. Chiaramente noi però, adottando delle sanzioni e schierandoci da una parte sola, perdiamo sia credibilità che la nostra neutralità. Il terzo elemento è proprio quello di essere, laddove possibile, un esempio di democrazia: da noi il cittadino ha l’ultima parola e questa è una cosa straordinaria”.
È in corso un processo di revisione del concetto di neutralità svizzera, lei cosa ne pensa?
“Credo che il concetto di neutralità svizzera debba essere mantenuto in maniera granitica. Questa è una parte fondamentale della nostra storia, della tradizione, della nostra indipendenza e del nostro benessere. È anche il primo bastione contro delle minacce esterne. Un paese neutrale si dichiara tale e viene riconosciuto come tale perché non entra in conflitti e non fornisce armi. Saluto positivamente dunque la prossima iniziativa per una neutralità integrale, che sarà lanciata verosimilmente entro la fine dell’anno. Noi dobbiamo tornare ad un concetto puro di neutralità perché il mondo ha bisogno di un paese neutrale che possa essere credibile in caso di conflitto che necessita una soluzione diplomatica. D’altronde le grandi organizzazioni internazionali sono nel nostro paese e questo è un ulteriore elemento di garanzia”.