Il capogruppo UDC e "la vecchia ancestrale spartizione del mondo tra affaristi e corruttori"
di Sergio Morisoli*
Potrebbe essere una storia, una “narrazione” coinvolgente, ma non è così. Avanza un patto segreto, si consolida. Certamente gli uni non si sono mai incontrati con gli altri, non c’è né complotto, né complottismo. Non è necessario, il corso degli avvenimenti avanza da solo, spontaneo e in modo naturale. Tutto si svolge alla luce del sole, in totale trasparenza e con un larghissimo consenso generale. È la vecchia ancestrale spartizione del mondo tra affaristi e corruttori.
I primi perseguono il potere del denaro (quello materiale), i secondi perseguono il potere politico (quello spirituale). Entrambi vogliono consolidare i loro monopoli. Gli uni nel mercato, gli altri nella democrazia. I primi sanno che i secondi (i corruttori) fanno loro comodo per annientare i valori, le identità, la cultura, la democrazia e il capitalismo; ostacoli verso l’impero del consumismo totale. I secondi sanno che i primi (gli affaristi) fanno loro comodo per spegnere i desideri, i bisogni, i sogni e le speranze; ostacoli verso l’impero dell’interventismo statale. Entrambi vogliono, per il “suo bene”, un essere umano isolato, solo, individuale, impaurito e dipendente; hanno un nemico comune da abbattere: gli uomini e le donne fuori schema, quelli che, ostinatamente, sanno ancora perché devono resistere a stare assieme, uniti per non essere travolti.
Gli affaristi e i corruttori sanno che possono vincere solo se l’uomo è solo, infatti, lo vogliono individuo singolo, anonimo, neutro anziché persona legata ad altri, a luoghi e a storia. Lo sanno talmente bene da distruggergli tutto ciò che lo relaziona a passato, presente e futuro. Tutto accade in modo semplice, o quasi, nessuno dirige o pianifica questa avanzata, come potrebbe? Non ci sono gruppi occulti che a tavolino progettano il corso degli affaristi e dei corruttori. Ci sono speculatori, questi si, molti, che cavalcano l’una o l’altra, o entrambe le tendenze, ma non sono iniziatori, manovratori, registi.
Funziona tutto così bene perché, non altri, ma perché ognuno di noi è calato nel ruolo attivo sia di affarista che di corruttore; è pedina e allo stesso tempo mossiere di questo progresso. Non ci accorgiamo di esserlo, non accettiamo di essere definiti tali, non vogliamo credere di essere tali, e se mai ce ne accorgiamo non vogliamo correggerci. Abbiamo espulso da lungo tempo il concetto di peccato individuale, e con esso il giudizio tra bene e male. L’abbiamo rimpiazzato temporaneamente con la colpa collettiva. Abbiamo barattato l’attesa della salvezza, già data, con la rincorsa del successo. La norma ha prevalso sul peccato, cioè il giudizio morale si è ridotto a legale e illegale, per non dire al mi piace o al non mi piace.
Il gioco ha un motore potente che a un certo punto si allarga e va in automatico, e che più volte nella storia ha purtroppo funzionato molto bene: l’illusione che la massa si liberi dalle zavorre materiali e spirituali e diventi padrona illuminata di sé stessa. “La massa travolge tutto ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e selezionato. Chi non sia come ‘tutto il mondo’, chi non pensi come ‘tutto il mondo’ corre il rischio di essere eliminato. Ed è chiaro che questo ‘tutto il mondo’ non è ‘tutto il mondo’. ‘Tutto il mondo’ era normalmente l’unità complessa di massa e minoranze discrepanti, speciali. Adesso ‘tutto il mondo’ è soltanto la massa” (Ortega y Gasset).
Non ci sono complotti, non c’è una mano invisibile e malvagia che traccia il nostro destino; c’è che senza punti cardinali siamo persi, smarriti. Se a G.K. Chesterton, si chiedesse: cos’è che non va nel mondo? Ci risponderebbe, a oltre cento anni di distanza, ancora una volta quello che scrisse in What’s wrong with the world del 1910: “Ciò che non funziona, ciò che è sbagliato, è che non ci domandiamo che cosa sia giusto!”
Le sortite e gli ammiccamenti a favore di democrazie illiberali, di capitalismi di stato, di woke culture provvidenziali, di tecnocrazie provvisorie, di burocrazie illuminate, di decostruttivismi purificanti, di guerre giuste, di terrorismi nobili, di protezionismi provvidenziali, di autoumiliazioni riparatorie, di nomadismi filantropici, di politiche salvifiche e altro ancora; non sono che macro-tendenze che confermano lo smarrimento generale. È la conferma della cocciutaggine di metodo, nel voler scovare per forza ciò che non va per demolirlo, invece di cercare di capire cosa c’è di giusto e buono da costruire. È l’eterna tentazione mortifera e liberticida di distruggere per ricostruire meglio; quella della parabola del grano e la zizzania (loglio).
Lo smarrimento è riscontrabile dal macro al micro del vissuto quotidiano di tutte e di tutti noi, fino alle nostre latitudini insubriche. Perfino nel microscopico cosmo del comporre le liste elettorali… Di questi tempi, spesso mi viene in mente un passaggio di una bella preghiera (Serenity prayer) di Reinhold Niebuhr del 1944: “Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscerne la differenza”.
*capogruppo UDC in Gran Consiglio