POLITICA E POTERE
Il Governo del Mulino Bianco
Riflessioni sulle critiche del presidente dell'UDC Piero Marchesi al modus operandi del Consiglio di Stato

di Andrea Leoni

Abbiamo un Governo del Mulino Bianco. La battuta è sintetica ed efficace come gli slogan migliori, ma dentro c’è un mondo di complessità, un problema serio e in quanto tale noioso, che inceppa gli ingranaggi delle nostre istituzioni. Lo diciamo senza girarci intorno: Piero Marchesi ha ragione quando muove questo rilievo al Consiglio di Stato. Da quando seguiamo la politica cantonale, ormai vent’anni, non ricordiamo un Esecutivo così radicalmente “dipartimentalista” come quello attuale. Un dipartimantalismo quasi dogmatico, tanto da diventare regola, anche se non scritta. 

Il presidente Claudio Zali, con la schiettezza che gli è propria, in un’intervista al Corriere del Ticino di qualche tempo fa, ha illustrato il modus operandi del Governo: “Ogni collega deve avere per principio la possibilità di fare avanzare progetti, anche ambiziosi. È semmai il Parlamento, o in ultima istanza il voto popolare, a fare una selezione o ad aggiustare il tiro”. Ecco spiegato come mai, da un Governo sostanzialmente di centrodestra, escono progetti come “La scuola che verrà”,  solo per citare un esempio eclatante tra i molti.

Se in assoluto le parole di Zali sono gravide di buonsenso, esse cozzano con la nostra architettura istituzionale. Nel nostro sistema, infatti,  il Governo deve fungere da primo filtro sulle proposte - approvandole, correggendole o bocciandole -  altrimenti diventa una sorta di ufficio ratifica delle proposte dei singoli dipartimenti, smarrendo completamente il proprio ruolo di Collegio. Un Collegio che talvolta deve anche procedere a maggioranza, mentre è cosa nota che il nostro Consiglio di Stato non vota mai o quasi. Quando non c’è condivisione se ne lava le mani e lascia al Parlamento, o al popolo, il litigio e la scelta tra Gesù e Barabba.  Così la collegialità è (troppo) semplice, praticamente indolore. 

Il risultato più evidente di questo modus operandi è l’inasprimento dei rapporti tra Governo e Gran Consiglio. Ormai non si contano più le incomprensioni e i bisticci tra potere esecutivo e legislativo (e di conseguenza i progetti spiaggiati o riformati). In questa legislatura si è addirittura arrivati a una sorta di commissariamento del Governo tramite il decreto Morisoli. Commissariamento a cui l’Esecutivo ha risposto con una mossa ancora una volta pilatesca e con una smorfia irriverente - quasi una pernacchia - attraverso l’ultimo preventivo.

Il Gran Consiglio non è mai stato centrale come in questa legislatura. Oggi come oggi conta più del Governo, tanto è vero che alle prossime elezioni sarebbe giusto cambiare i parametri tradizionali, concentrando maggiore attenzione mediatica sull’elezione del Parlamento anziché dell’Esecutivo. Ma è chiaro che siamo di fronte a una stortura, a una centralità eccessiva, se un Legislativo di milizia prevale su un Governo di professionisti che ha a disposizione un’intera amministrazione. È un altro risultato del bug del dipartimentalismo. 

Ma se la diagnosi è corretta, la cura non è così scontata come la immagina Piero Marchesi. Se da un lato è indispensabile un cambio di attitudine da parte del Consiglio di Stato, perché l’attuale approccio è davvero eccessivo e dannoso, dall’altro occorre tenere a mente alcuni aspetti altrettanto importanti. Il primo è che un buon clima di lavoro e dei buoni rapporti interpersonali tra colleghi, come ogni ambito professionale, sono un valore. Un Governo che passa le sedute a litigare, certo non produrrebbe migliori risultati dell’Esecutivo attuale. In secondo luogo da due anni - prima con il Covid e poi con la guerra in Ucraina e tutto ciò che ne consegue a livello economico e sociale - viviamo in una crisi profonda e quindi un Governo è chiamato a una responsabilità ulteriore e superiore, quello di fungere da collante della società. Spaccature troppo profonde e ripetute, rischierebbero d’incendiare un’aria già incandescente. Anche in questo caso la ricerca  faticosa di un’unità d’intenti rappresenta un valore, se è però perseguita senza la logica di scaricare la patata bollente sul Gran Consiglio. E in un’ultima battuta chi in Parlamento ha anche responsabilità di Governo, dovrebbe per quanto possibile evitare di produrre atti finanziariamente insostenibili che giocoforza mettono in difficoltà chi è chiamato a governare. 

Da questo punto di vista occorrerebbe un chiarimento anche da parte dell’UDC che, da un lato, rivendica giustamente il proprio apporto determinante nell’elezione di due Consiglieri di Stato (di cui uno peraltro di appartenenza, essendo Norman Gobbi iscritto al partito guidato da Marco Chiesa), ma dall’altro rifugge ogni responsabilità governativa, schierandosi all’opposizione. Perché altrimenti, battuta per battuta, è facile ribattere a Marchesi che non ci si infarina al Governo del Mulino Bianco, finché non ci si mettono le mani. 

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