POLITICA E POTERE
Lega-UDC: i fuocherelli e l'incendio
L'affondo di Claudio Zali contro i democentristi e le tensioni crescenti in un'alleanza difficile da gestire

di Andrea Leoni 

Il riassunto del problema è negli slogan che Lega e UDC si sono dati in questa campagna elettorale: “continuità”, il movimento di via Monte Boglia, “cambiamo ora”, i democentristi. Due motti e due visioni dei bisogni del Paese che si oppongono e si respingono, racchiuse in un’unica lista. Con una battuta, ma forse neanche troppo, si potrebbe dire che sull’alleanza demoleghista grava innanzitutto una difficoltà psicologica, quasi romanzesca, ancor prima che politica. Una sorta di sdoppiamento della personalità: una dice “continuiamo dritti” e l’altra risponde “svoltiamo o andiamo a sbattere contro il muro”. A chi dare retta se a dirlo è la stessa lista?

Le dure dichiarazioni di Claudio Zali nei confronti degli alleati (“vogliono prendersi tutto”), non è che uno dei fuocherelli che bruciano nel recinto di Lega e UDC. E non da ieri. Solo nelle ultime settimane c’è stato lo scivolone dialettico dei “coglionazzi” (copyright Paolo Pamini), qualche punzecchiatura sul Mattino, l’attacco al “Governo del Mulino Bianco” (il Governo a maggioranza relativa leghista), ribadito dall’UDC in ogni comunicato. E nel futuro altre sterpaglie potrebbero appiccarsi grazie all’attrito tra i due partiti e al nervosismo che crescerà con l’avvicinarsi della scadenza elettorale. La discussione sul superamento dei livelli che si dibatterà presto in Gran Consiglio, potrebbe provocare le prossime scintille.

Lega e UDC hanno presentato la lista per il Consiglio di Stato nettamente più forte. Ma una lista forte necessita di una grande volontà politica, da parte dei promotori, per essere sostenuta. Va interpretata e maneggiata con intelligenza e cautela, e con un certo fair play tra i principali protagonisti, altrimenti rischia di scoppiare tra le mani. E più ancora delle conseguenze immediate del “botto”, il vero danno lo provocherebbero le scorie, capaci di avvelenare gli animi per anni.

La forza della destra in Ticino è sempre stata quella del pragmatismo. Saper mettere le affinità e le battaglie comuni - molte invero anche in questa legislatura - davanti alle diversità, gli obbiettivi prima delle divergenze, senza smarrirsi in tormenti ideologici e bisticci estemporanei. Così Lega e UDC hanno raccolto successi e seggi di prestigio. Un esercizio probabilmente più semplice, vien da pensare, fin quando era chiaro chi era il partner di maggioranza e quello di minoranza. Ora che la forza elettorale tra i due partiti tende a livellarsi, sono cambiate anche le ambizioni, a cominciare da quella dell’UDC di avere un Consigliere di Stato, a scapito giocoforza di un leghista.

Ma il fuocherello principale, e qui Claudio Zali ha ragione, è stato acceso con l’iniziativa per l’abolizione della tassa di collegamento. Una raccolta firme che ha reso chiaro, per chi non lo avesse ancora capito, a quale dei due seggi leghisti mira Piero Marchesi. Se da una parte l’UDC giustifica la battaglia con la coerenza verso una tassa sempre avversata, ed è vero, vi è da aggiungere che c’erano i tempi tecnici per posticipare l’iniziativa a dopo le elezioni. Ciò, pur senza modificare di una virgola l’avversione verso l’eco balzello, avrebbe tolto d’imbarazzo i leghisti che invece, ad ogni uscita pubblica, si trovano costretti a rispondere a un atto politico forte, come è sempre il ricorso alla democrazia diretta (e sappiamo che nel mondo Lega sono in molti ad avere il mal di pancia per questa tassa). Invece l’UDC ha deciso di andare fino in fondo ponendo questa fastidiosa “pietra d’inciampo” (cit. Norman Gobbi) tra i piedi dei cugini.

È altrettanto vero però che Claudio Zali è ingeneroso quando afferma che “se con il 6% dei voti si vuole arrivare in Governo, bisogna evidentemente camminare sul cadavere di qualcuno”. Occorre infatti ricordare che quel 6% gli ha consentito, per restare nella metafora funesta, di scampare alla falce elettorale e di prosegiuire la sua esperienza in Consiglio di Stato.

In tutto questo c’è il ruolo, comodo e scomodo al contempo, di Norman Gobbi. Il ministro con doppio passaporto politico, tessera leghista in Ticino e UDC a livello nazionale, è il pompiere tra i due fuochi. Da un lato si avvia a una rielezione senza preoccupazioni, dall’altra trasmette la contraddizione del suo status. Gobbi ha lealmente dichiarato di augurarsi la rielezione del collega di Governo, ma è chiaro che la tensione tra i due partiti crea anche intorno a lui un’aurea non scevra d’imbarazzi.

Zali vs Marchesi è la sfida sulla lista Lega-UDC, con Boris Bignasca nel ruolo di mediano di sbarramento a difesa del fortino leghista. Ma la partita si gioca anche fuori. Con i simpatizzanti del presidente UDC nell’area di PLR e Centro, a cui dovrebbe attingere anche Bignasca, mentre quelli del presidente del Governo albergano nell’area rossoverde. Sintomatico, da questo punto di vista, il forte appello “a non votare Zali” lanciato la scorsa settimana dal co-presidente socialista Fabrizio Sirica. E poi c’è da contendersi il ricco bacino di voti della “senza intestazione”. Ciò premesso, buona parte del risultato si giocherà nell’elettorato della Lega. Se buona parte dei leghisti voteranno solo i tre leghisti, per dirla con Claudio Zali, le chance di Marchesi si ridurranno al lumicino.

La sfida, tuttavia, non è circoscritta alla contesa governativa che attira tutte le attenzioni mediatiche. Ce ne è un’altra di uguale importanza e si gioca in Gran Consiglio. C’è infatti sentore di un possibile travaso di uno o più seggi tra Lega e UDC. Un’ipotesi che preoccupa molto via Monte Boglia e giustamente.

Il campo di Lega e UDC è oggi illuminato da una serie di fuocherelli. Riusciranno i due partiti a tenerli circoscritti oppure, magari al prossimo colpo di vento, scoppierà l’incendio mettendo in pericolo la casa comune? La questione è tutta qui.

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