Qualche riflessione in ordine sparso sulla bagarre politico-giudiziaria che ha infiammato il dibattito politico negli ultimi dieci giorni
di Andrea Leoni
Ora che il Gran Consiglio ha fatto le sue scelte sulla tornata di nomine in magistratura, vale la pena fare qualche riflessione in ordine sparso sulla bagarre che ha infiammato il dibattito politico negli ultimi dieci giorni.
Primo, Sabrina Aldi ha sbagliato. Nel proporre la nomina di Alvaro Camponovo - figlio del presidente di una società di cui Aldi e direttrice amministrativa - la deputata leghista ha commesso una grossolana leggerezza, una sgrammaticatura istituzionale, tecnicamente una cazzata. L’Ufficio presidenziale del Parlamento ritiene che la Gran Consigliera non abbia violato la legge sul conflitto d’interesse, ma se anziché alla legge ci affidassimo al buonsenso comune, in pochi non riterrebbero inappropriato il comportamento assunto dalla deputata nella vicenda. Aldi avrebbe dovuto semplicemente astenersi da qualunque azione a sostegno di Camponovo. In questi casi è buona regola scusarsi. E solo il tempo ci dirà se il neo procuratore farà bene o male.
La Lega ne esce con un procuratore in più ma, probabilmente, con qualche voto in meno. Il motivo è lo stesso che è costato molti sostegni al Movimento negli ultimi anni: quando ti dichiari diverso dagli altri e poi replichi gli stessi comportamenti, o peggio, fai il contrario di quel che avevi promesso, la perdita di credibilità e di consensi è inevitabile.
Ciò premesso, quanta ipocrisia in talune affermazioni lette in questi giorni. Sembra che prima di questa tornata di nomine, il Parlamento abbia eletto solo dei super magistrati, di comprovata esperienza, orfani di qualsivoglia parentela o di legami politici, d’affari o di prossimità, più o meno stretti, con i rappresentanti dei principali partiti, dei più importanti studi legali o di altri gruppi economici e d'interesse. Degli eremiti senza amicizie o altri legami sentimentali, completamente sconnessi dalla società nella quale vivono e dove sono cresciuti. Non è così e chi lo afferma mente sapendo di mentire.
Nella nostra esperienza da cronisti parlamentari abbiamo visto plebiscitare in Gran Consiglio candidati al Ministero Pubblico stra super mega idonei, rivelatesi poi completamente inadatti al mestiere. Perché quel mestiere lì, non essendoci al momento un tirocinio, capisci se sei capace di farlo soltanto quando lo pratichi sul campo. In questo senso, quasi ogni nomina in Procura è una scommessa. E tutti i partiti, nel corso degli anni, hanno nominato ottimi magistrati e incapaci.
Quando si trattò di eleggere il procuratore generale, l’attuale PG Andrea Pagani non era il primo nella graduatoria degli assestement condotti da periti zurighesi e non era neppure il preferito nelle indicazioni della Commissione di esperti. In quell’occasione il Parlamento, con in testa il PLR che spingeva per il “suo” candidato, decise di ignorare il parere dei tecnici e lo scelse. E riteniamo corretto che i deputati, nelle loro valutazioni, non si sentano vincolati alle perizie o alle indicazioni degli esperti (comunque nominati dalla politica) nelle loro scelte. Altrimenti i magistrati li eleggerebbero gli specialisti e quando la politica si spoglia delle sue prerogative lasciando il campo ai tecnici, di solito non è salutare per la democrazia e non va a finir bene.
Come poi dimenticare il “capolavoro” realizzato dalla crème del nostro sistema giudiziario con la celeberrima “bocciatura” dei cinque procuratori. Furono proprio alcuni tra i Migliori della giustizia ticinese - in alcuni casi migliori per davvero - ad architettare, a vari livelli e con diversi gradi di responsabilità, quel clamoroso pasticcio. Un pasticcio fortunatamente sanato dal tanto vituperato Gran Consiglio (Centro, PS e Lega), dopo che una perizia di un ex giudice federale, prima, e una sentenza di un tribunale, poi, demolirono la procedura con cui si era arrivati alle bocciature. In quell’occasione grazie a una parte della politica, si mise una toppa all’incresciosa vicenda, che fu totalmente prodotta dai vertici del sistema giudiziario e applaudita e sostenuta da alcuni tra gli scandalizzati di oggi.
Tutto questo per dire che non si può ragionare con l’accetta in materia di politica giudiziaria. Non esiste il bianco e il nero. Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, i competenti e gli incompetenti, i ciucciamammella della casta e i guerrieri immacolati che li vogliono abbattere. Gli intrecci e le dinamiche sono molto più complesse e spesso poco visibili.
Ma d’altro canto non possiamo neppure consolarci ne arrenderci al “così fan tutti”. La vera stortura del sistema che andrebbe finalmente corretta, sta nel fatto che oggi chi non ha un partito alle spalle ha infinitamente meno possibilità d’ingresso in magistratura rispetto a chi uno sponsor politico ce l’ha. Il peso predominante della rappresentanza partitica poteva avere un senso in passato, ma oggi la maggioranza dei cittadini ticinesi non sostiene alcun partito, perché non vota o sceglie la scheda senza intestazione. Questo è un tema urgente di rappresentanza democratica che bisognerebbe porsi anche per le nomine in magistratura.