POLITICA E POTERE
L'ultimo regalo a Sergio Morisoli
L'iniziativa lanciata oggi dalla VPOD per cancellare il decreto che porta il nome del capogruppo UDC, tiene artificialmente in vita una legge che è già in coma irreversibile e che morirà da sola tra pochi mesi
SECONDO ME

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di Andrea Leoni

Ho una stima e una simpatia naturale per Raoul Ghisletta. Mi piace quel suo essere monello in una classe politica ormai infarcita di scolaretti e la sua capacità di dibattere come si faceva una volta: con idee appassionate e con la lingua vetrata, ma nel rispetto degli avversari. Il suo grande difetto, però, è sempre stata l’ostinazione. Una cocciutaggine talmente pronunciata da averlo portato in più di un’occasione a schiantarsi contro il muro. Per nulla e ottenendo l’effetto opposto a quello desiderato.

L’iniziativa popolare per l’abolizione del decreto Morisoli lanciata oggi dal sindacato VPOD, supera tuttavia ogni livello di pervicacia immaginabile, portandoci in una nuova dimensione che accarezza la fantascienza. Per avere successo in politica bisogna essere bravi e fortunati e con una squadra all’altezza. E la fortuna è spesso misurabile con gli errori e le debolezze degli avversari. Sergio Morisoli deve aver vinto a qualche misteriosa lotteria per aver avuto in sorte tanta grazia.

Il primo referendum, oltre a una sonora sconfitta per chi mirava alla cancellazione del decreto, ha regalato una formidabile e gratuita campagna promozionale al capogruppo UDC e al suo partito che dura ancora oggi e che, grazie al rilancio odierno della VPOD, proseguirà anche per i prossimi mesi. Quella chiamata alle urne fu un vero e proprio seppuku per chi la promosse, perché trasformò una leggina declamatoria in un totem finanziario con tanto di bollinatura popolare. Fu più la sinistra che Morisoli a creare il Frankestein. I mesi successivi hanno poi dimostrato quel che scrivevamo, insieme ad altri, in materia. Che il sostegno partitico al decreto - fatta salva l’UDC - si sarebbe squagliato davanti ai tagli più impopolari del preventivo e che per mobilitare le persone occorre che ci siano sul tavolo misure concrete e non proclami. Soprattutto ha dimostrato che la lex Morisoli non conta nulla, perché il preventivo approvato dal Gran Consiglio non lo rispetta, perché il pareggio di bilancio non sarà raggiunto nel 2025 e perché esistono strumenti democratici che consentono di opporsi alle misure più controverse del preventivo, decreto o non decreto.

Di fatto la sinistra e l’area sindacale, grazie alle mobilitazioni di piazza e alla pressione politica, hanno sostanzialmente vinto la battaglia sul preventivo 2024, anche se forse non se ne sono accorti del tutto. Il taglio dei sussidi di cassa malati è stato stralciato, con il sostegno di Lega e Centro, e così il contributo di solidarietà che era stato chiesto ai dipendenti.  Non è stata una vittoria piena, ma di certo un ottimo incasso considerata la forza elettorale del centrosinistra in Ticino.

Continuare a tenere artificialmente in vita il decreto Morisoli, come fa questa iniziativa popolare, significa solo sprecare energie, portare acqua al mulino dei propri avversari, con il rischio di farsi di nuovo del male per nulla. Il decreto infatti è come i file con i quale Ethan Hunt riceve le missioni da compiere: si autodistruggerà con il 2025, raggiunti gli obbiettivi o no. Diventa dunque difficile trovare un aggettivo, senza sconfinare nell’ineleganza, per definire una raccolta firme che vuol chiamare il popolo alle urne, per cancellare una legge che si cancellerà da sola tra pochi mesi. Sceglietelo voi.

Gli spettri di nuovi tagli draconiani che aleggiano sul preventivo 2025, denunciati dagli iniziativisti, sono reali. Ma ad alimentarli non è il babau Morisoli bensì la legge costituzionale sul freno ai disavanzi, autentica maglia di rigore finanziaria che sta stringendosi sui conti pubblici e alla quale devono obbedire Governo e Parlamento. Un’iniziativa popolare che avesse preso di mira questo meccanismo di austerità, sarebbe stata certamente più seria e con conseguenze assai più concrete. Il freno al disavanzo non ha una data di scadenza.

Invece la strada scelta dalla VPOD mette in imbarazzo lo stesso Partito socialista, che nei prossimi mesi sarà impegnato nella delicata e difficile battaglia contro la riforma fiscale e, insieme al resto dell’arco costituzionale, escluse Lega e UDC, contro il referendum sulla cassa pensioni dei dipendenti dello Stato. La risposta del popolo a questo doppio quesito il 9 giugno inciderà moltissimo sul prossimo preventivo e sul resto della legislatura.

Questa raccolta firme è una distrazione, un elemento di disturbo, che certamente condizionerà il dibattito sui temi in votazione. E non crediamo di svelare segreti se scriviamo che diversi esponenti di primo piano del PS, avevano caldamente sconsigliato di compiere questo passo. Del resto anche le altre sigle sindacali, che erano state consultate per un'adesione, hanno preferito non aggregarsi all'avventura.   

 

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