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08.04.2024 - 20:090
Aggiornamento: 16.04.2024 - 09:28

Il Governo fantasma

Da tempo ormai si susseguono le occasioni in cui l’Esecutivo avrebbe dovuto esserci e non c’è stato

di Andrea Leoni

Fra un po’ ci toccherà chiamarlo “Ghostverno”. Da inizio legislatura siamo infatti confrontati con un Consiglio di Stato fantasma. E si susseguono come grani di un rosario le occasioni in cui l’Esecutivo avrebbe dovuto esserci e non c’è stato, in cui avrebbe dovuto all’opinione pubblica una spiegazione e non l’ha data, in cui avrebbe dovuto difendere il proprio lavoro ed è rimasto in silenzio, ben imboscato nelle stanze di Palazzo o dietro il paravento retorico delle supercazzole.

Per chi qualche ministro l’ha visto passare, “il Governo che non c’è”, come l’isola di Peter Pan, è un fatto non banale e piuttosto preoccupante. Se sulle prime note dello spartito del quadriennio si poteva ritenere che il Collegio, con saggezza, non volesse gettare benzina e confusione sul caotico e scoppiettante braciere uscito dalle urne, quanto avvenuto nei mesi appresso e fino ad oggi, ha assunto le sembianze di una reiterata assenza ingiustificata.

L’apogeo della trasparenza, intesa in senso spettrale, è stato toccato con il preventivo 2024. Dopo una conferenza stampa dai contenuti molto contabili e poco politici, il Governo si è smaterializzato. Nei mesi successivi non vi è stata o quasi alcuna attività pubblica - interviste, dibattiti e così via - per spiegare al Paese le ragioni di quella manovra e perché quel pacchetto di risanamento andasse approvato. Di fronte a un dibattito sempre più avvitato su stesso e a una parte dei cittadini che riscopriva la piazza come una necessità democratica, le finestre e le tende di Palazzo sono rimaste chiuse: il confronto è stato negato. Un atteggiamento pilatesco - ma l’aggettivo da usare sarebbe un altro… - che ha anche messo in grossa difficoltà i principali partiti in Gran Consiglio, ritrovatisi senza sponde e con la patata bollente tra le mani. Kafkiano è stato poi quel che è accaduto nel dibattito parlamentare, dove anziché battersi a difesa del preventivo, il Governo si è speso in affettuosi ringraziamenti verso chi glielo stava smontando pezzo per pezzo. Mai vista una roba del genere. E tutti sappiamo come è andata a finire.

Un altro episodio imbarazzante è avvenuto più di recente, quando il Consiglio di Stato è rimasto senza volto e senza voce nel (non) comunicare l’autosospensione di Norman Gobbi dalla conduzione politica della polizia. Era dai tempi di Marina Masoni, 15 anni fa o giù di lì, che un ministro restava senza un pezzo di Dipartimento. Una notizia eclatante che avrebbe dovuto far sorgere spontanea nell’Esecutivo la necessità di metterci la faccia e di spiegare ai cittadini le motivazioni della decisione, rispondendo alle domande dei giornalisti. Invece nulla, uno scarno comunicato e via, peraltro “bruciacchiato” dalla nota di Gobbi che ha anticipato quella governativa.

Si potrebbero citare altri episodi, ma finiremmo per allungare il brodo ed infierire inutilmente. Vi è piuttosto da chiedersi perché il Governo sta venendo meno a uno dei suoi doveri. C’è chi sostiene che il Covid sia stato uno spartiacque nel rapporto tra media e Consiglio di Stato. Allora, si ricorderà, i giornalisti furono esclusi per molto tempo dalle conferenze stampa, potendo inviare le domande solo per e-mail. Per motivare quel provvedimento furono addotte ragioni sanitarie, ma a Berna il Consiglio Federale non si è mai sognato di comunicare senza la presenza fisica dei giornalisti. Può darsi che quel momento sia effettivamente stato un punto di svolta, facendo provare all’Esecutivo il piacere dato dalla confort zone di una comunicazione blindata. Provo a buttar lì un altro argomento.

La professionalizzazione della comunicazione governativa, con i relativi staff dei ministri, ha creato un muro sempre più alto e spesso tra l’opinione pubblica e il Palazzo. L’informazione è stata volutamente costruita in senso unidirezionale: si comunica ciò che si vuole, evitando ogni volta che si può il rimbalzo o il confronto. A questo si sono aggiunti i social network, che sublimano questa impostazione. Tutto ciò ha reso molto solido ed impermeabile l’impianto comunicativo del Consiglio di Stato, spogliandolo però di una parte essenziale: la dinamica data dall’attrito con la stampa che, sfregandosi come un fiammifero, accende il messaggio dandogli autenticità e rendendolo credibile (se credibile lo è).

Un tempo non era così. Un tempo il Governo capiva l’importanza di far sentire la sua presenza nel dibattito pubblico, in un rapporto aperto, appassionato e costante con i cittadini. Un tempo vi era il piacere da parte dei ministri di “sfidare” le capacità dei giornalisti e degli avversari politici. Era un punto d’onore e di autorevolezza misurarsi senza rete davanti all’opinione pubblica con l’obiettivo di convincerla. Bei tempi, quelli. 

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