ANALISI
Coronavirus: il Ticino è la tredicesima provincia della Lombardia
La decisione della Confederazione di consentire l'accesso ai frontalieri è come se spostasse il confine al Gottardo. Intanto USI e SUPI stringono i bulloni

di Andrea Leoni

In pochi giorni il Coronavirus ci ha imposto svariati aggiornamenti. Abbiamo dovuto aggiornare i calendari sportivi, i nostri consolidati comportamenti sociali, gli appuntamenti con il relax e i divertimenti, il carnet delle prudenze e delle attenzioni. Da oggi, domenica 8 marzo, tra gli aggiornamenti da fare c’è anche quello di Google maps.

La reazione della Svizzera al decreto del Governo italiano, che ha dichiarato l’intera regione Lombardia come zona a rischio, è come se avesse spostato la frontiera più a nord, al Gottardo, e trasformato il Ticino nella tredicesima provincia lombarda.

Per una notte intera e per molte ore di questa domenica ci siamo posti la domanda sbagliata: chissà se Roma autorizzerà i frontalieri a poter continuare a lavorare in Ticino. Il quesito corretto, invece, era l’altro: la Svizzera può accettare sul proprio territorio cittadini che vivono in quella che è diventata la Hubei italiana? Berna ha deciso di sì ed è stata una libera scelta. Non c’era alcun vincolo o alcun accordo che imbrigliava il potere decisionale della Svizzera. È per volontà della Confederazione che domani in Ticino potranno venire a lavorare decine di migliaia di frontalieri.

La Svizzera ha deciso di non chiudere le frontiere nella giornata in cui l’Italia e la Lombardia presentano il bilancio più buio dall’inizio della crisi. Il Belpaese è diventato il secondo Paese al Mondo per numero di decessi da Coronavirus. Dall’inizio dell’epidemia i contagiati sono 7.375, di questi 6’387 sono ancora malati, con un incremento di 1’326 persone rispetto a sabato, 366 i decessi, 133 in più in un solo giorno. In Lombardia, domenica, i casi sono saliti a 4’189 positivi, 769 in più nelle ultime 24 ore. Le persone decedute sono 257, i ricoverati in terapia intensiva 400.

La Confederazione, con questo quadro sulla scrivania, ha deciso di non vietare l’accesso ai frontalieri. Va ricordato che in Consiglio Federale siede anche il ticinese Ignazio Cassis, il quale ha personalmente discusso con l’omologo Luigi Di Maio dell’ultimo decreto del Governo italiano. Quindi la tesi che Berna non comprende la situazione particolare del nostro Cantone, non regge, nella maniera più assoluta.

Semplicemente, a livello federale, c’è stata una ponderazione d’interessi, tra i danni economici e strutturali che avrebbe prodotto uno stop ai cittadini lombardi impiegati in Ticino, o a una parte di essi, e i rischi sulla diffusione del contagio che comporta dare libero accesso a persone che vivono nel più grande focolaio di Coronavirus del mondo occidentale.

La si può spiegare in tutte le lingue del mondo questa decisione, ma difficilmente verrà compresa e digerita dalla popolazione. Per il semplice fatto che ha delle spiegazioni, anche solide, ma non ha una logica. Non si possono invitare i cittadini svizzeri a non recarsi in Lombardia e al contempo consentire l’ingresso a 70’000 frontalieri. Non può la Svizzera ignorare il confine che la separa dalla Lombardia, quando gli italiani stessi lo stanno imponendo ai lombardi con quarantene obbligatorie nelle regioni del centro sud: Toscana, Abruzzo, Molise, Sicilia, Campania…..Le due cose non si tengono insieme: il cortocircuito è inevitabile.

Il Consiglio di Stato, va sottolineato, non ha il potere di chiudere i confini. Può suggerirlo, auspicarlo, ma non può deciderlo, a meno che non scelga di disobbedire alle autorità superiori e alla legge. Il nostro Governo, però, può agire sul fronte interno, introducendo misure organizzative e restrizioni alla vita sociale. Ad esempio in ambito scolastico.

Oggi per la prima volta il medico cantonale Giorgio Merlani ha lasciato chiaramente intendere che la misura è in canna. In serata la SUPSI ha deciso di sospendere tutte le lezioni a partire da lunedì mattina. Mentre l’USI ha chiuso l’accesso ai campus a studenti e personale che risiedono, o che sono stati di recente, in Lombardia e nelle province toccate dall’ultimo decreto Conte. Sembra di rivedere quanto avvenuto con i comuni in materia di eventi e manifestazioni, dove ognuno decideva per conto suo. C’è da sperare che, questa volta, il Governo sia più celere nel diramare regole coerenti per l'intero settore. 

La strategia dell’autorità cantonale è chiara e dichiarata: le misure restrittive verranno introdotte gradualmente. Una prassi che non condividiamo e che, oltre a dilapidare tempo prezioso, produce un danno: la scarsa consapevolezza in una parte della popolazione del pericolo a cui andiamo incontro. Un approccio più “cinese” da parte dei nostri governanti, toglierebbe acqua allo stagno degli scettici e responsabilizzerebbe molti più cittadini rispetto a quanto finora avvenuto. 

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