Rispettiamo il lutto, per favore. Rispettiamo il dolore di chi ha perso un figlio, un amico, un compagno
di Marco Bazzi
Ho visto anch’io morire un compagno d’armi durante la scuola reclute. Era il 1981. Avevo 21 anni, perché avevo rinviato il servizio militare per motivi di studio, e lui, probabilmente ne aveva qualcuno meno di me.
La tragedia non avvenne durante una “marcia forzata” della Scuola Granatieri, ma durante una banale esercitazione di posizione della Fanteria di montagna sul passo del Gottardo.
Quella mattina c’era una nebbia che non si vedeva a un metro, ma ci avevano mandati comunque fuori dal forte, con addosso la pellerina mimetica e il vecchio fucile d’assalto da nove chili a tracolla, dopo una settimana passata a dormire con l’acqua che ti pioveva in testa dalla roccia e ti sgocciolava nella gamella durante la cena.
Si chiamava Jean François, e se non ricordo male abitava a Gnosca, dove in una giornata di sole si svolse il funerale, a cui partecipò l’intera nostra compagnia. Con tanto di Inno Nazionale, vessilli, bandiera sulla bara e onore delle armi, come per le vittime di guerra. Ricordo ancora le lacrime sui volti dei suoi genitori. Ricordo quel cimitero, e quelle tombe circondate da alberi e aiuole.
Non eravamo in guerra, e lui, Jean François, morì cadendo in un dirupo a causa della nebbia. Avete presente com’è impervia e piena di insidie la zona sopra il passo? Piena di buche e di anfratti. Era lì che facevamo le esercitazioni di tiro con fucili, granate a mano e anticarro.
Qualche imbecille decise che anche con quel tempo infame si doveva andare a presidiare la montagna, invece di rimanere nel forte a fare un po’ di teoria o a riposare. Perché dovevamo addestrarci a far fronte a una potenziale invasione del nemico rosso.
Ne ho sentite e viste tante di cazzate del genere, durante la scuola reclute, fatte e pronunciate da persone apparentemente intelligenti e reputate, in realtà poveri sfigati esaltati di guerra - di guerra finta, ovviamente - che oggi sfogherebbero le loro frustrazioni bellicose giocando a Fortnite, e per i quali la carriera militare era semplicemente un modo per salire di grado in banca o in qualche altro settore dell’economia dove se non eri almeno capitano contavi come il due di picche. Era la famosa teoria della “conduzione”. Oggi non è più così, per fortuna.
Comunque, noi ragazzi, noi soldati semplici, non ci davamo tanto peso a quelle cose, ci fumavamo qualche canna alla sera per dimenticare le fatiche della giornata.
Ricordo lo smarrimento e la rabbia che ci prese quando ci dissero che Jean Françoise era morto. Ma erano altri tempi. Sicuramente ci fu un’inchiesta. Non so se ci furono sanzioni o condanne. Non c'erano i social, non c'erano i portali web... L'informazione era molto controllata.
La tragedia accaduta alla Scuola reclute dei Granatieri di Isone mi ha fatto tornare alla mente la triste storia di Jean François, morto a nemmeno vent'anni a causa di un'esercitazione che non si doveva fare. Anche in questo caso ci sarà un’inchiesta. Oggi la pressione dei media è molto più alta, c’è più trasparenza, e se qualcuno ha sbagliato, ammesso che qualcuno abbia sbagliato, verrà punito. Non so cosa sia successo esattamente a Isone. Ma quello che mi fa imbestialire è la strumentalizzazione che si sta facendo di questa tragedia. Il solito inutile scontro tra militaristi e antimilitaristi. Tra chi vorrebbe abolire l'esercito e chi, a mio avviso giustamente, lo ritiene necessario.
Rispettiamo il lutto, per favore. Rispettiamo il dolore di chi ha perso un figlio, un amico, un compagno.