ANALISI
Sulla questione Rete Due
Gli obbiettivi aziendali, il progetto Lyra, la contestazione degli oppositori: dalle polemiche si passi alle proposte

di Andrea Leoni

Il progetto di riforma del comparto radiofonico della RSI ha prodotto un ampio dibattito, innescato e ospitato con felice intuizione giornalistica sulle pagine della Regione. Al centro della disputata è finito in particolare il futuro di Rete Due, il canale che verrebbe maggiormente investito dal cambiamento. Il mondo culturale ticinese si è mobilitato, in modo compatto, a difesa dell’emittente. Una petizione ha raccolto migliaia di adesioni. Anche la CORSI si è messa di traverso chiedendo che il progetto venga “congelato”. Ne è nata una discussione dai toni piuttosto accesi, e talvolta apocalittici, tra la direzione della RSI e chi ne contesta l’agire.

In tutta questo crescente pandemonio di accalorate e appassionate prese di posizione, si sono probabilmente perse di vista le premesse che hanno innescato la riforma. Tre su tutte. La prima è la richiesta imperativa della SSR alla RSI di risparmiare 11 milioni di franchi, di cui una parte nel comparto radiofonico (non per forza su Rete Due). La seconda è quella di far crescere il pubblico radiofonico intorno all’offerta culturale. La terza è di investire nella digitalizzazione e nell’offerta audio on demaind.

Se il primo obbiettivo è figlio obtorto collo della forte contrazione pubblicitaria già prevista in epoca pre Covid e oggi ancora più marcata (un problema che riguarda tutti i media); il secondo e il terzo sono una precisa scelta aziendale difficile da contestare nel merito, anche in ambito culturale. Qualunque teatro, qualunque manifestazione, qualsiasi concerto, cerca di attirare il maggior numero possibile di spettatori. Ci sono solo due tipologie di scrittori: quelli che hanno venduto milioni di libri e quelli che avrebbero voluto venderli. Inoltre, non perdere il treno del futuro nella diffusione dei prodotti, rappresenta un imperativo per qualunque azienda, in particolare quelle multimediali.

Per implementare quanto richiesto da Berna, la RSI ha messo su un gruppo di lavoro composto da una quindicina di persone - comprendente tutti gli attori dell’organigramma interessati, dai capi settori ai responsabili finanziari - coordinato da Sergio Savoia. Questo gruppo ha elaborato il progetto Lyra. Per sommi capi la proposta, per quanto attiene la cultura, è quella di trasferire e condividere parte dei contenuti di Rete Due sulla rete ammiraglia, la Uno, e di produrne e diffonderne un’altra parte attraverso i podcast nativi. In poche parole portare le produzioni dove c’è più pubblico e verso il pubblico del futuro.

Apro una piccola parentesi: chi ritiene che i podcast nativi siano una sorta di umiliazione per le produzioni culturali, non sa di cosa sta parlando. Questa nuova modalità di diffusione rappresenta una straordinaria occasione, che nel mondo sta dando ossigeno, opzioni e visibilità a contenuti di ogni tipo: dall’informazione allo sport, dalla cultura al puro cazzeggio. Il tutto con una qualità che non ha nulla, ma proprio nulla, da invidiare all'offerta di diffusione lineare. Chiusa parentesi.

L’obbiezione fondata, a questo punto, è: ma cosa resterebbe in onda su Rete Due? Molta musica e contenuti specifici che saranno ospitati su Rete Due e altrove, sostengono quelli del gruppo Lyra. La pietra d’inciampo, su questo punto, è stato un documento di lavoro interno che prevedeva una riduzione del parlato al 10%. Una proposta che a quanto pare è stata nel frattempo saggiamente superata, tanto che nelle linee editoriali non ve n’è traccia. 

Ora, è evidente che ogni proposta di riforma porta in dote delle scelte discutibili e contestabili. In parte fondate e in parte no. Sotto traccia vi è anche la legittima preoccupazione per i posti di lavoro, che sempre si annida quando sono in atto delle ristrutturazioni. Le domande di fondo però sono altre: quanto conta il contenitore e quanto il contenuto e, soprattutto, qual è l’alternativa?

Il direttore della SSR Gilles Marchand, pur con una supercazzola memorabile, oggi sulla Regione ha ribadito che, al netto dell’interessante dibattito e delle migliaia di firme a favore di Rete Due, gli obbiettivi aziendali (risparmi, più pubblico per la cultura e digitalizzazione dell’offerta) restano e vanno raggiunti, in Ticino come nel resto della Svizzera. Detta male: se la RSI non farà i compiti, la SSR glieli farà fare. Ecco, nelle ragioni di chi contesta la proposta del gruppo Lyra, sembra mancare una contro-proposta. C’è una sola difesa dello status quo.

Invece sarebbe buona cosa che tutti si interrogassero sui numeri, chiedendosi come migliorare una Rete Due che ha un budget di circa 3 milioni di franchi e le cui punte di ascolto sfiorano a malapena i 2’500 ascoltatori. Temiamo che la sola battaglia di retroguardia non modificherà queste cifre rendendole più sostenibili e, alla lunga, pregiudicherà in ogni caso il futuro di Rete Due.

Giocare alla nicchia che fa figo - meno siamo, più di qualità è il nostro prodotto - è un gioco molto pericoloso. Come è pericolosa l’idea che siccome la RSI è un servizio pubblico, della consistenza del pubblico ce ne si può fregare. Tutta la cultura è giustamente finanziata con denari statali, e ben venga il supporto economico a espressioni artistiche meno popolari, ma anche in ambito culturale - piaccia o non piaccia - i soldi vengono stanziati in base al successo delle varie iniziative. I conti alla fine, e nel complesso, devono comunque tornare.   

Abbandonare ogni impulso elitario non può fare che del bene. Anche perché la cultura sa essere estremamente popolare e inclusiva. Basta guardare il Pardo, il LAC, e i numerosi Festival sul territorio. Sottoscrivo le parole di Matteo Pelli: “Gli ascolti devono sempre essere un obbiettivo. Ed è sbagliato pensare che la cultura non debba essere popolare. Se uno vuole essere elitario, la prima conseguenza è che taglia fuori tutti gli altri”.

A proposito di elitarismo, trovo insopportabile la puzza sotto il naso con la quale, tra le righe e no, si giudica l’offerta delle altre reti della RSI o delle emittenti private. Quasi come se quelli che lavorano a Rete Uno e Rete Tre, siano un gruppo di trinariciuti dai quali tenersi alla larga. Quasi che trasferivi una parte della cultura, sia come traslocare il Louvre in una landa di barbari incolti. Sicuramente il bla bla sulle reti generaliste della RSI può essere migliorato, ma occorre grande rispetto verso chi fa intrattenimento. Tenere compagnia alle persone tra una canzone e l’altra, ogni santo giorno, è un mestiere difficile, difficilissimo. E farsi seguire lo è ancora di più.

Quindi, per concludere, ben venga tutta questa discussione e anche le contestazioni, ma che ora dalle polemiche si passi alle proposte. Nella consapevolezza che alla fine non sarà né il gruppo Lyra, né chi ad esso si oppone, né la CORSI (per fortuna: che Dio ce ne scampi dall’intrusione della politica nelle scelte aziendali e nei contenuti editoriali), a decidere. La scelta finale spetterà, come è giusto, al neo direttore Mario Timbal. Buon lavoro, Mario.

 


 

 

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