ANALISI
Scollamento
Il richiamo del presidente Vitta ai partiti di Governo, il sistema che scricchiola e la debolezza dell'Esecutivo

di Andrea Leoni

Della cesura tra partiti di Governo e i rispettivi ministri, Pino Sergi ne ha fatto un mantra ormai da qualche anno. Il coordinatore dell’MPS sfodera l’argomento, declinandolo in chiave farsesca, per denunciare il teatrino della politica: un gioco delle parti messo in atto a tavolino affinché uno dei due attori, partiti e Consiglieri di Stati, abbia sempre e comunque ragione su ogni tema spinoso. Win-win situation, direbbero gli americani. 

Con l’inizio della legislatura in corso, però, lo scollamento si è fatto più profondo e sincero, almeno in alcuni passaggi. Il dibattito sugli ultimi due preventivi, con il Governo che propone e i partiti che stralciano - nel caso dell’ultimo preventivo, con poco garbo istituzionale, addirittura alla vigilia della presentazione del messaggio - ne sono l’emblema. Tanto che il presidente Christian Vitta, dalle colonne del Corriere del Ticino, ha lanciato un forte richiamo alla responsabilità  indirizzato alle forze politiche che esprimono l’Esecutivo. A cominciare dal suo PLR, supponiamo, che ha contribuito attivamente a svuotare l’ultimo documento finanziario.

Chi osserva da fuori questa centrifuga di smarcamenti e di parole, si pone la domanda più ovvia: ma tra di loro si parlano? Sul dialogo non si possono aver dubbi, considerato che tutti i ministri siedono negli organi direttivi dei partiti e partecipano alle riunioni dei gruppi parlamentari. Sarà che non si capiscono, verrebbe da dire facendo una battutaccia, ma così non è. E allora come si spiega?

Per tentare una risposta, occorre riavvolgere il nastro fino alle ultime elezioni. I Consiglieri di Stato, in particolare quelli dei partiti che hanno perso, sono convinti che il voto ha dimostrato che gli elettori hanno premiato loro e le loro politiche in Governo e, di conseguenza, hanno bocciato l’azione delle rispettive scuderie in Gran Consiglio e nel Paese. Viceversa i partiti sono persuasi dell’esatto contrario: i ministri hanno beneficiato di un consenso personale, facendo pagare la fattura elettorale alla squadra. Molto nasce da questo cortocircuito: chi ha ragione? Qual è la linea giusta da seguire? Chi deve seguire chi, seppur nel rispetto dei ruoli?

Le ultime elezioni cantonali hanno eletto il Gran Consiglio più frammentato della storia. Al di là dei numeri che ancora premiano i partiti principali, con la possibilità intatta di costruire maggioranze, su di essi è aumentata notevolmente la pressione. Domina il tatticismo e la paura di sbagliare o, almeno, di non avvantaggiare troppo i concorrenti. A questo si somma una nuova condizione che si osserva sempre di più anche a livello nazionale e non solo. I partiti più filo governativi, in particolare quelli di centro, si sono stufati di cantare e portare la croce sotto il fuoco delle due ali, erodendo ad ogni elezioni il proprio consenso. Da circa 30 anni in Svizzera e in Ticino abbiamo una destra e una sinistra di lotta e di governo. Il nostro sistema si è adattato a sopportare la politica del doppio binario da parte dei poli, ma se ora vogliono viaggiarci anche gli altri, ecco che la nostra architettura istituzionale scricchiolala pericolosamente, perché non è pensata per funzionare in questo modo.

Di questo fatto si può farne una colpa ai partiti tradizionali? Direi proprio di no, se non quella di agire troppo spesso in ritardo e a rimorchio, di farsi dettare l’agenda anziché imporla. Il problema è che per riuscire in questo esercizio occorrono idee, persone, antenne dritte e una gran voglia di lavorare, non bastano i numeri. L’UDC ticinese ne è la rappresentazione plastica, ma anche il Centro ha dimostrato di saperci fare.

Ciò detto avere responsabilità di Governo porta giocoforza a presentare proposte di compromesso e la frammentazione e la polarizzazione, spingono ad allungare ulteriormente un vino già annacquato. Ma il compromesso, oggi come oggi, non porta né entusiasmo né voti e la complessità dei problemi - che pure esiste - viene vissuta da una parte della popolazione come uno scudo dietro il quale i governanti si nascondono per mantenere lo status quo. In questo quadro, in cui alla politica si chiedono soluzioni immediate, semplici e chiare, per chi non si adegua diventa difficile sopravvivere.

Il nostro Consiglio di Stato incarna l’esasperazione di questo problema e ne è ostaggio. Oltre alla severa strigliata ai partiti, sarebbe stato bello sentire dal presidente Vitta una seria autocritica sull’Esecutivo e sui suoi preventivi fotocopia, su un dipartimentalismo sempre più soffocante, sull’assenza di leadership e di presenza pubblica da parte del Collegio che, soprattutto nell’ultimo biennio, ha offerto al Paese la sola prospettiva del tirare a campare. Se questa autocritica venisse fatta fino in fondo, tra le conclusioni, potrebbe emergere anche quella di un Governo svuotato, di idee e di energia, con tre quarti dei suoi componenti a fine corsa. Oppure, chissà, provocare un sussulto d’orgoglio e un deciso cambio di passo.

 

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