Il Consigliere Nazionale popolare democratico dice la sua sulla condivisione delle foto dei figli online e parla di un postulato dove chiedeva che soluzioni potrebbero essere adottate per combattere i reati pedopornografici in Internet
di Fabio Regazzi*
È stata presentata nei giorni scorsi la nuova campagna digitale “@Insta4Emma”, promossa dalla piattaforma nazionale Giovani e media dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS). Una campagna della durata di un mese in cui la popolazione è invitata a riflettere sugli effetti dei social media e che si rivolge in particolare a quegli adulti che condividono sui social media foto dei propri figli, senza riflettere sulle possibili conseguenze di un banale “post” o “story”. Sebbene molto spesso l’intento di questi adulti sia innocente, il pericolo di ledere la sfera privata dei più piccini è sempre presente.
Un tempo, le immagini di famiglia venivano gelosamente custodite in album fotografici fisici, sfogliati in occasione di feste e ricorrenze, oppure mostrate agli ospiti in cornici a cui dover togliere regolarmente la polvere. Insomma: ognuno decideva cosa, quanto e con chi condividere. Il salto all’epoca digitale ha allargato il cerchio di possibili spettatori: adesso, potenzialmente tutti possono non solo vedere le immagini di bimbi e bimbe condivise in rete, ma a loro volta, con una semplice operazione, inoltrarle ai loro contatti. In un batter di click, condividi e inoltra, i visi dei nostri piccoli potrebbero ritrovarsi sugli schermi di perfetti sconosciuti.
Tra i fenomeni più preoccupanti legati alla presenza di immagini e video di minori in rete, vi è quello dei reati pedopornografici in Internet, in cui criminali di tutto il mondo accedono in diretta all’abuso commesso su un minore. Secondo le stime dell'FBI e dell'ONU, questo inquietante e ripugnante fenomeno conterebbe globalmente circa 750 000 predatori che giornalmente navigano in rete alla ricerca di vittime minorenni.
Un grosso problema nell’identificare i colpevoli sta nel fatto che i perpetratori sanno di essere al sicuro, poiché vi sono limiti ristretti al perseguimento di questi odiosi crimini.
Recentemente, è stato accolto a larghissima maggioranza in Consiglio nazionale un mio postulato con il quale viene richiesto al Consiglio federale di vagliare quali soluzioni potrebbero essere adottate per combattere in maniera efficace il fenomeno. Tra esse, la possibilità che le autorità di polizia svizzere lavorino con esche virtuali, come già avviene ad esempio nei Paesi Bassi: immagini artificiali di minori vengono “offerte” in rete per la diretta streaming pornografica. Se hanno luogo trattative per un abuso sessuale dinanzi alla webcam, il criminale viene incastrato.
Questo metodo si è già rivelato efficace, con l’identificazione di più di 1.000 sospetti da tutto il mondo in dieci settimane.
Naturalmente, tra la condivisione dell’immagine del proprio figlio o figlia sui social media e il reato pedopornografico in rete vi è una enorme differenza, che risiede nel differente intento. Occorre però una maggiore sensibilità da parte degli adulti responsabili, a tutela dei più piccoli e degli indifesi. E così, al prossimo post che vogliamo condividere con il mondo, ricordiamoci forse che, indipendentemente dall’età, la protezione della personalità e della sfera privata è un diritto che si acquisisce alla nascita.
*Consigliere nazionale PPD