"La ricerca dell’uomo forte si coniuga con il desiderio di uno Stato forte che esalta il nazionalismo, che considera l’oppositore un traditore"
di Mauro Dell'Ambrogio
Gli estimatori di Putin in Occidente si sono ridotti di numero nelle ultime settimane, ma erano parecchi. Il disastro delle dittature nazi-fasciste aveva immunizzato l’Europa per qualche decennio. Magari grigi e noiosi, ma i politici del dopoguerra non potevano rivestire il ruolo di portatori del destino di un paese. Pur carismatici, come de Gaulle, Thatcher o Merkel, ma capaci di uscire di scena e sostituibili. Perfino la Cina del dopo Mao si era data governi collegiali e a termine.
Da qualche decennio però era tornata in auge una tentazione attestata fin dall’antichità: quella dell’uomo forte al governo. Il successo di Trump, e più ancora il fatto che metà degli Americani non è scandalizzata dal suo uso del potere per restare al potere, ne sono un esempio. Poco importa quanto democratica sia l’elezione: anche Hitler e Mussolini ascesero al governo con larghe maggioranze. Non è neppure effetto della rinascita di ideologie di destra, come dimostrano i casi di Ortega in Nicaragua e Chavez in Venezuela. La ricerca dell’uomo forte, espressione diretta delle masse e non di uno schieramento politico alternativo ad altri, si coniuga con il desiderio dello Stato forte. Uno Stato forte che esalta il nazionalismo, che considera l’oppositore un traditore.
Per troppi decenni ci siamo abituati a tenere conto in politica soprattutto della polarizzazione tra modelli economici: più o meno libero mercato e concorrenza, più o meno ridistribuzione sociale, ruolo delle corporazioni e degli interessi di categoria. Abbiamo dimenticato che uno Stato sano non ha bisogno soltanto di libere elezioni, ma anche di separazione dei poteri, di una giustizia davvero indipendente dal potere politico, di modalità di gestione del potere limitate nel tempo e distribuite, al governo e ai vertici di formazioni politiche autenticamente in concorrenza tra loro. Il cambiamento è stato rafforzato da fenomeni quali la professionalizzazione della politica: se è il Capo del partito a scegliere i candidati da eleggere in parlamento, con tutti i privilegi che la funzione comporta, può contare sulla loro fedeltà. La comunicazione pervasiva di ogni aspetto sociale e mirata alle emozioni più che al ragionamento riduce la politica a tifo da stadio, a generare idoli.
Perfino in Svizzera il ruolo emblematico assunto da Blocher sarebbe stato impensabile in tutta la storia nazionale precedente. Gli idoli poi, quando ne hanno l’opportunità, possono diventare despoti. Il dispotismo ha bisogno di focalizzare sulla presenza di nemici interni – i capitalisti, i comunisti, gli ebrei, gli immigrati – ed esterni per alimentare il proprio sostegno. Violenza e guerra ne sono la quasi inevitabile conseguenza.