La deputata PLR in un articolo sulla Regione racconta la sua esperienza personale: "Finalmente il Consiglio Federale ha riconosciuto l'esigenza di rendere reato queste persecuzioni"
di Simona Genini*
Dopo averci fatto tanto attendere, il Consiglio federale, settimana scorsa, ha infine riconosciuto l’esigenza di rendere esplicitamente punibili gli atti persecutori. Una volta completato il lavoro del parlamento, a medio termine possiamo quindi attenderci che la Svizzera (finalmente) inserisca nel suo codice penale il reato di stalking.
Come migliaia di altre persone, anche io sono purtroppo stata vittima di questo odioso attacco alla sfera privata. Per settimane, mesi, qualcuno si è inserito di forza nella mia vita, togliendomi il sonno e la tranquillità. Chiunque abbia vissuto questa esperienza sa bene quanto sia in grado di logorare la salute mentale. Anche perché, da qualche anno, la digitalizzazione ha reso molto più semplice il lavoro di chi desidera dedicarsi ossessivamente a tormentare un altro essere umano. Sfruttando il web, la posta elettronica e naturalmente i social chi attenta alla nostra serenità può farci sentire la sua presenza opprimente quasi a tempo pieno, al punto che perfino le mura domestiche smettono di essere un rifugio sicuro.
L’esperienza diretta mi ha resa ancora più sensibile agli effetti collaterali che la nostra completa immersione nel web ha portato con sé. Siamo ormai quasi completamente trasparenti allo sguardo altrui, raggiungibili da chiunque e pertanto vulnerabili in una misura finora sconosciuta ai nostri antenati. Come se questo non bastasse, i social media hanno progressivamente reso più aggressiva la comunicazione interpersonale, secondo quella che è diventata nota come la ‘Legge di Mike Tyson’, dal nome del famoso pugile, l’idea che i provocatori da tastiera, sentendosi al riparo dalle conseguenze fisiche delle loro aggressioni verbali, tendono a offendere e insultare con una virulenza che non si azzarderebbero mai a utilizzare di persona.
Per chi crede nella libertà degli individui, e quindi nel loro senso di responsabilità, queste derive nei rapporti sociali sono l’esempio perfetto della differenza che corre tra la libertà e l’egoismo. Chi è di cultura liberale deve infatti sempre ricordare che l’esercizio di ogni libertà può sempre ledere la libertà degli altri ed essere quindi consapevole dell’esigenza di definire limiti, regole e strumenti per farli rispettare.
La nostra fiducia nelle istituzioni passa anche dall’efficacia con la quale svolgono questo ruolo di definizione del limite e di sanzione per chi lo oltrepassa. Da questo punto di vista, dopo il passo dovuto che il Consiglio federale ha finalmente deciso di compiere, sarà ora necessario un lavoro intenso di comunicazione. La proposta in discussione a livello federale prevede infatti che il reato sia perseguibile solo su richiesta della persona che lo subisce – l’unica in grado di giudicare se il suo senso di sicurezza o di libertà sia compromesso –. In pratica, senza un’adeguata informazione alla popolazione, il rischio è che la legge rimanga lettera morta.
La mia esperienza personale, infatti, mi dice che non tutte le vittime di un reato sono consapevoli dei loro diritti e/o hanno i mezzi per farli valere. Specialmente di fronte a un illecito come lo stalking, molte persone non sanno come e a chi chiedere aiuto, hanno scarsa consapevolezza dei loro diritti e poca fiducia nelle istituzioni. Uno Stato democratico deve lottare con tutte le proprie forze per evitare che questo sentimento di abbandono si diffonda, minando l’idea stessa dell’uguaglianza davanti alla legge.
* deputata PLR - articolo pubblicato sull'edizione odierna de La Regione