SECONDO ME
Speziali: "Quel 'tafazzismo' che non ci meritiamo"
"Considerare noi stessi un Paese di poveretti (pori nümm!) è la via maestra per alimentare un senso di impotenza collettiva, e tenere in moto la macchina del rivendicazionismo a oltranza"
TiPress/Samuel Golay

di Alessandro Speziali (editoriale sul mensile Lib-)

Il luogo comune secondo cui “Gli estremi si toccano” ricorda bene la narrazione che oggi domina sullo stato di salute del Canton Ticino. Un recente editoriale ci presenta il ritratto di «un Cantone con un salario mediano inferiore del 20% rispetto al resto della Svizzera, con le peggiori prospettive di impiego, con gli aumenti dei premi di cassa malati più marcati, con uno dei tassi di rischio povertà più alti del Continente».

Se grattiamo via la vernice pseudo-scientifica, non sentiamo forse in questo giudizio echeggiare il caro, vecchio «sfigatissimo Cantone» di cui caragna, da trent’anni e più, il domenicale leghista? Che accada a destra o a sinistra, cedere al pessimismo non è mai l’idea migliore. È come provare a correre i 400 metri con gli scarponi da sci – uno può anche farlo, ma rende tutto inutilmente più faticoso. È quel che vediamo in qualunque dibattito politico nostrano, in cui prevale irrimediabilmente la tentazione di dipingere il degrado del Ticino, come un quadro in cinquanta sfumature di marrone.

Fra politici, sindacalisti, opinionisti, giornalisti e qualche blogger anonimo, la corsa a chi descrive il declino più fragoroso sembra la volata finale del Tour de France. Tutti a sgomitare per superarsi a colpi di raffronti intercantonali, statistiche, aneddoti e pensierini, citazioni da Liceo classico e «me l’ha detto mio cuggino».

Tutto vale in questo ottagono da MMA del disfattismo, in cui la propria (presunta) sensibilità e conoscenza del «reale» è misurata dall’abilità nel padroneggiare il gergo della disperazione e della sfiducia. Di «reale», però, in questo approccio politico non c’è proprio nulla.

Non è realismo ma solo e soltanto tafazzismo – un autolesionismo che paralizza il Paese, scoraggia chi pensa di venirci a vivere o a lavorare (per non parlare di chi vorrebbe fare figli!) e spinge sempre più lontano, con il cuore o con i piedi, chi già ci abita.   Un altro luogo comune dice che la politica è l’arte di affrontare i problemi. Da questo punto di vista, il PLRT non è il club degli ingenui: sappiamo benissimo che nel Ticino di oggi c’è materiale in abbondanza per chi voglia cimentarsi nell’opera di risolvere difficoltà. Il punto, però, è che ammettere i difetti del presente è ben diverso dal cedere alla tentazione del lamento iperbolico. Vedere le ombre accanto alla luce non significa indulgere nella contemplazione del buio, e poi scrivere una profezia di sventura che (a furia di essere ripetuta) finisce per autoavverarsi.

Considerare noi stessi un Paese di poveretti (pori nümm!) è la via maestra per alimentare un senso di impotenza collettiva, e tenere in moto la macchina del rivendicazionismo a oltranza. È vero che l’UE non è un partner amichevole e che a Berna vince la lega dei Cantoni più forti – ma non può essere l’alibi eterno del Ticino, come in quelle narrazioni «postcoloniali» che aboliscono ogni responsabilità per il proprio destino.   Non sarà facile lasciarsi alle spalle questa mentalità perdente, che rende il Paese incapace di credere nelle sue potenzialità e impedisce alla politica di mobilitare energie positive. I verbali delle ultime interminabili sedute di Gran Consiglio, da questo punto di vista, sono eloquenti – una overdose di catastrofismo spacciato per realismo, fra torrenti di lacrime e zero soluzioni.

Per come la intendiamo noi, un partito non dovrebbe accontentarsi di essere lo specchio dei malumori dei disillusi della società – e meno che mai dovrebbe accettare la demagogia viscida che accarezza tutti nel senso del pelo, importando in politica la logica dei social media, solo per conquistare un pugno di «like».   Allo stesso modo, il Parlamento non dovrebbe trasformarsi in uno sfogatoio, ma accettare fino in fondo la missione di fornire l’orientamento del Paese – per essere una bussola capace di puntare verso un futuro migliore, grazie a valori e progetti condivisi.

Provare a superare questo clima culturale pessimista – lo ripeto – non significa negare i problemi del Ticino, ma esprimere il desiderio di affrontarli con un atteggiamento positivo.

Per il PLRT, fare politica al servizio del Paese significa tentare di offrire una visione, proporre soluzioni concrete e, soprattutto, credere nel potenziale del Paese. Un potenziale che c’è ed è grande: basta guardare alle moltissime ditte piccole e grandi che in questo Cantone lavorano in modo virtuoso, innovativo, responsabile, sano. Da loro dobbiamo ripartire.

Ogni cittadino, ogni comunità, ogni istituzione ha un serbatoio di energie e risorse al quale può attingere. Per farlo, però, bisogna avere fiducia, in se stessi e nella dimensione collettiva alla quale ognuno di noi appartiene.   Vi auguro buon Natale e un felice inizio di 2025, con la speranza che il nostro Paese sia sempre in grado di seguire la bussola che punta verso le libertà, la coesione e il progresso.

* presidente PLR

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