"Il Consiglio Federale e il ministro Cassis hanno perso un'occasione storica: quella di dare alla Svizzera il ruolo di mediatore che merita"
di Piero Marchesi*
Quando scoppiò la guerra in Ucraina, l’amministrazione Biden, sostenuta dalla Commissione europea e da molti leader europei, ci raccontò che sanzionando economicamente la Russia e armando l’Ucraina, Putin sarebbe stato sconfitto in breve tempo. Ma era davvero così difficile prevedere che la realtà sarebbe stata ben diversa? Gli scambi commerciali russi e gli interessi degli oligarchi non si sono fermati: la Turchia continua a essere una piattaforma commerciale per la Russia, mentre la Cina, mantenendo relazioni con l'Occidente e con Putin, lascia poco spazio a dubbi. L’India, dal canto suo, ha incrementato le importazioni di risorse russe, rafforzando ulteriormente l’economia di Mosca. Si pensi che nell’anno finanziario 2022-23, le importazioni di greggio dalla Russia sono aumentate di quasi tredici volte.
E la Svizzera? Il Consiglio federale, con una scelta pavida e acritica, ha adottato le sanzioni suggerite dagli USA e imposte dall’UE, senza neppure valutarne le conseguenze a medio e lungo termine. Così facendo avrà messo a tacere la coscienza, ma ha rinunciato al suo ruolo storico di mediatore e promotore di pace, rendendosi inservibile come piattaforma di dialogo tra le parti in conflitto. L'UDC lo ha detto fin dall'inizio: la Svizzera deve fare la sua parte nel promuovere la pace, non deve sostenere la guerra. Oggi il conflitto continua, le sanzioni hanno colpito più noi e l’Occidente che la Russia, e la Svizzera è ora classificata da Mosca come Paese ostile.
La recente elezione di Donald Trump ha portato un cambiamento evidente, quanto imbarazzante: se prima l’attore comico e Presidente ucraino Zelenski dichiarava di poter e voler vincere la guerra a ogni costo, ora, con il nuovo Presidente americano, si è affrettato a dirsi pronto a negoziare anche la cessione o scambio di territori alla Russia, un’ipotesi che fino a poco tempo fa era considerata inaccettabile. E l'UE, insieme alla Svizzera, è ora esclusa da questi negoziati, considerata da Putin non credibile e irrilevante.
I rischi sono ora enormi: una Russia economicamente e militarmente più forte, pronta a rafforzare la propria influenza globale; gli USA che si prenderanno gran parte delle opportunità economiche della ricostruzione ucraina, lasciando all’Europa solo le briciole; e rapporti gelidi tra UE e Russia per almeno vent'anni. Intanto, l’Europa rischia di perdere ulteriore terreno anche nei confronti di potenze emergenti come India e Cina. E noi svizzeri dovremmo gettarci nelle braccia di questi funzionari di Bruxelles sottoscrivendo l’accordo di sottomissione con l’UE?
In Svizzera, inoltre, la possibile conversione dei circa 70'000 permessi S concessi agli ucraini in permessi B, come auspicato dalla sinistra e dal Centro, rischia di comportare oneri significativi e creare squilibri sociali difficilmente sostenibili.
Già più di un decennio fa, l’allora Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi aveva capito l’importanza di tenere Putin dalla parte dell’Occidente. Spingere la Russia nelle braccia di Cina e India, due potenze che non hanno ancora espresso la totalità della loro forza, rischia di relegare l’Europa ad angolo dimenticato dell’economia globale. Il Consiglio federale e il capo del Dipartimento affari esteri Ignazio Cassis hanno perso un'occasione storica: quella di dare alla Svizzera il ruolo di mediatore che merita, con una politica estera silenziosa, discreta, magari anche attendista, ma incisiva. Al posto di ciò, hanno celebrato Zelenski sulla Piazza federale e sul Bürgenstock, ricevendo pacche sulle spalle di chi oggi non sa più che pesci pigliare.
*Consigliere Nazionale UDC