CORONAVIRUS
Impariamo dalla storia. National Geographic analizza l'ecatombe della 'Spagnola': "Revocare il lockdown sarebbe un errore fatale"
Le città USA che reagirono tempestivamente ebbero la metà dei morti. L’epidemiologo Stephen Morse: “Le lezioni del 1918 potrebbero aiutarci a evitare di ripetere gli stessi errori oggi"

Un articolo del National Geographic analizza i modi e i tempi in cui le città statunitensi reagirono alla pandemia di influenza del 1918, che provocò un’ecatombe in tutto il mondo, la cosiddetta “Spagnola”.

L'influenza del 1918 durò fino al 1920 ed è considerata la pandemia più mortale della storia moderna, ricordano gli autori dell’articolo, Nina Strochlic e Riley Champine. “Oggi, mentre il mondo si ferma in risposta al coronavirus, scienziati e storici stanno studiando lo scoppio del 1918 per ottenere indizi e informazioni sul modo più efficace per fermare una pandemia globale. Gli sforzi messi in atto per arginare la diffusione dell'influenza nelle città in tutta l'America e i relativi risultati potrebbero offrire lezioni per combattere la crisi di oggi”.

 

I due autori hanno pubblicato i dati raccolti proprio per dimostrare quando il lockdown, la chiusura di tutte le attività non indispensabili, sia importante per contenere le epidemie.

 

Philadelphia registrò il primo caso di un ceppo di influenza mortale e in rapida espansione il 17 settembre 1918. Il giorno successivo, nel tentativo di arrestare la diffusione del virus, i funzionari della città lanciarono una campagna contro la tosse, lo sputo e lo starnuto in pubblico. Eppure, 10 giorni dopo, nonostante la prospettiva di un'epidemia virulenta e letale, la città ospitò una sfilata alla quale parteciparono 200’000 persone e che fu la “fionda” per la diffusione del virus.

 

I casi di influenza a Philadelphia aumentarono raggiungendo i 20’000, fino a che il 3 ottobre, due settimane dopo il primo caso registrato, vennero chiuse le scuole, le chiese, i teatri e gli spazi pubblici.

 

Dal primo caso noto negli Stati Uniti, registrato in una base militare del Kansas nel marzo 1918, l'influenza si diffuse in tutto il paese. Poco dopo l'istituzione di misure sanitarie a Philadelphia, un caso emerse a St. Louis. Ma in questo caso, due giorni dopo la città chiuse la maggior parte dei locali pubblici e costrinse per persone infettate a restare in quarantena nelle loro case. Misure che fecero rallentare la propagazione del virus.

 

Alla fine della pandemia, tra 50 e 100 milioni di persone erano morte in tutto il mondo, tra cui oltre 500.000 americani, ma il tasso di mortalità a St. Louis fu nettamente inferiore – meno della metà - rispetto a quello di Philadelphia. Si stima che nei primi sei mesi della pandemia, il periodo più virulento della Spagnola, i decessi dovuti al virus siano stati di circa 385 persone per 100.000 abitanti a St Louis, rispetto all'807 per 100.000 abitanti a Philadelphia.

 

I cambiamenti demografici e sociali degli ultimi decenni, osservano gli autori, hanno reso sempre più difficile contenere una pandemia. La globalizzazione, l'urbanizzazione, le megalopoli, sono tutti fattori che favoriscono la diffusione di un virus in un continente in poche ore, mentre gli strumenti di risposta, fatti salvi i progressi scientifici, sono rimasti pressoché invariati.

 

Ora come allora, scrivono gli autori, gli interventi di sanità pubblica sono la prima linea di difesa contro un'epidemia in assenza di un vaccino.

“Queste misure includono la chiusura di scuole, negozi e ristoranti; restrizioni al trasporto pubblico; distanziamento sociale e divieto di riunioni pubbliche. Ovviamente, convincere i cittadini a rispettare tali ordini è un'altra storia: nel 1918, un ufficiale sanitario di San Francisco uccise tre persone quando una si rifiutò di indossare una maschera obbligatoria. In Arizona, la polizia diede multe di 10 dollari a tutti coloro che vennero trovati senza equipaggiamento protettivo. Ma alla fine, le misure più drastiche e radicali hanno dato i loro frutti. Dopo aver implementato una moltitudine di chiusure e controlli rigorosi nelle riunioni pubbliche, St. Louis, San Francisco, Milwaukee e Kansas City risposero più rapidamente ed efficacemente: si stima che questi interventi provocarono una riduzione della velocità di trasmissione del virus dal 30 al 50%. New York, che reagì immediatamente alla crisi imponendo quarantene obbligatorie e orari di lavoro scaglionati, registrò il tasso di mortalità più basso sulla costa orientale”.

 

Nel 2007, due studi pubblicati negli Atti della National Academy of Sciences hanno cercato di capire in che modo le risposte hanno influenzato la diffusione della malattia in diverse città. Confrontando i tassi di mortalità, i tempi e gli interventi di salute pubblica, è stato accertato che i tassi di mortalità furono circa il 50% più bassi nelle città che adottarono misure preventive tempestive, rispetto a quelle che reagirono in modo tardivo o fecero nulla. Le misure consentirono di guadagnare tempo per lo sviluppo del vaccino e ridussero la pressione sui sistemi sanitari.

 

Gli studi, si legge sempre nell’articolo, hanno portato a un'altra conclusione importante: che l’allentamento anticipato delle misure introdotte rischia di riattivare i focolai di infezione.

“St. Louis, ad esempio, alla luce del suo basso tasso di mortalità revocò le restrizioni agli incontri pubblici meno di due mesi dopo l'inizio dell'epidemia. Seguì presto un'esplosione di nuovi casi. Delle città che hanno mantenuto le misure, invece, nessuna ha subito una seconda ondata di alti tassi di mortalità”.

 

Nel 1918, gli studi hanno scoperto che la chiave per appiattire la curva era il distanziamento sociale. E questo probabilmente rimane vero un secolo dopo, nell'attuale battaglia contro il coronavirus. Queste informazioni, ha scritto l'epidemiologo della Columbia University Stephen Morse, “sono un prezioso tesoro di dati storici utili che ha appena iniziato a essere utilizzato per guidare le nostre azioni. Le lezioni del 1918, se tenute in considerazione, potrebbero aiutarci a evitare di ripetere gli stessi errori oggi".

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