Il presidente dell'Ordine dei medici critica le riaperture decise dal Governo e propone: "Usiamo i checkpoint per effettuare tamponi di massa"
Franco Denti, il Consiglio di Stato ha deciso di allentare le misure restrittive, riaprendo sostanzialmente l’industria e l’edilizia.
“Ahimè, purtroppo sì. Confesso di provare un certo sconforto. Mi è del tutto incomprensibile, soprattutto l’apertura dell’edilizia. In Lombardia i muratori non possono svolgere la loro professione, ma in Ticino sì. Ho sempre detto che riaprire prima di maggio, sarebbe stato un grosso rischio. Non può il Governo ticinese muoversi senza coordinarsi con le regioni oltre confine, che peraltro hanno adottato misure di contenimento ancora più strette delle nostre. Inoltre la curva dei contagi in Ticino è tutt’altro che appiattita”.
Vale a dire?
“I casi positivi al giorno sono ancora lontani dallo 0. E il trend non è per nulla stabilizzato. Gli ospedali non sono ancora vuoti. Se l’epidemia riprende ripartiamo da 200 pazienti già ospedalizzati, di cui una quarantina ancora in cure intense. Riaprire in questo momento è come giocare alla roulette russa”.
A fronte di queste considerazioni come mai, a suo avviso, il Govenro ha deciso di allentare la morsa?
“Francamente non riesco a capire come sia potuto succedere. Non lo capisco anche da un punto di vista economico. Se io dico a un imprenditore di ripartire troppo presto e poi tra tre settimane devo farlo chiudere di nuovo, gli creo un danno devastante. Il rischio è che molti non si rialzino più. Lo stesso vale per le persone a livello psicologico. Il rischio è che in caso di nuovo lockdown la gente non segua più le indicazioni delle autorità”.
Però sappiamo che, anche a livello scientifico, il dibattito è aperto sul tema delle riaperture.
“Guardio, io sono un medico al fronte, e devo basarmi sui fatti e non sulle teorie o le speranze. Il Covid19 è una malattia che conosciamo da un mesetto in Ticino, e poco di più a livello internazionale. Non abbiamo un farmaco per curare i pazienti. Non abbiamo dati sull’immunità. Ci sono troppe domande importanti alle quali la scienza non sa ancora dare una risposta. In questo contesto io tenderei ad evitare di scottarmi con il fuoco, prendendomi rischi inutili. Prima di tutto cercherei di osservare i Paesi più colpiti che ci sono passati prima. Non mi metterei di sicuro, come sta avvenendo, a inventare una via solitaria, perché è pericoloso farlo”.
La Confederazione, dal 27 aprile, ha dato via libera all’apertura dei parrucchieri. Che ne pensa?
“Ho visto il protocollo di Coiffeur Suisse. Sono curioso di vedere quanti parrucchieri saranno in grado di avere tutto il materiale previsto dal piano per aprire in sicurezza. Noi abbiamo 1’000 saloni in Ticino. È probabile che i grandi potranno lavorare a regime ridotto. Mentre i piccoli mi chiedo come faranno. Senza dimenticarci che tra parrucchieri ed estitiste, la maggioranza sono frontalieri. Ci ritroveremo nello stesso identico problema che abbiamo oggi con l’edilizia”.
Della riapertura delle scuole dell’obbligo l’11 maggio che ne dice?
“Di principio le scuole devono rimanere chiuse, perché aprire per quattro settimane dalla fine dell’anno scolastico, non è sensato dal punto di vista sanitaria. Si potrebbe pensare di organizzare un rientro solo per chi deve sostenere degli esami di fine ciclo scolastico, come in quarta media o gli apprendisti".
E la riapertura dei negozi, prevista sempre per l’11 maggio?
“Sì, ma solo con le mascherine obbligatorie per tutti”.
Sulla riapertura della ristorazione, invece, regna una grande incertezza, sia a livello svizzero che a livello internazionale.
"Effettivamente è un tema molto complesso, perché il rispetto delle norme igieniche, in quel contesto, è ancora più difficile”.
Veniamo alle misure d'accompagnamento per la riaperture. Sempre di più anche in Ticino si sta ponendo la problematica dei “finti” guariti, di persone cioè che hanno contratto il Covid19 e risultano positive anche dopo un mese dalla scomparsa dei sintomi. In Svizzera è previsto che dopo due giorni senza sintomi, si possa tornare al lavoro. Che fare?
“Oggi come oggi non abbiamo una risposta certa. E già questo dato dovrebbe bastare per riflettere bene prima di fare riaperture avventate. Credo che nell’immediato l’unica soluzione pratica possa essere quella della mascherina obbligatoria per chi ha fatto la malattia, per almeno 14 giorni dalla scomparsa dei sintomi”
Il tampone di massa è un altro strumento possibile. In Ticino abbiamo i checkpoint sul territorio, promossi dall’Ordine dei medici, che potrebbero fungere da base logistica per questa operazione. Poi chiaramente ci sono le problematiche legate ai reagenti e alle capacità di analisi in laboratorio. Lei pensa che si dovrebbe andare in questa direzione?
“Guardi la storia dei tamponi non è molto trasparente. Somiglia a quella delle mascherine. Credo che con il passare delle settimane le nubi si diraderanno anche su questo punto. Comunque uno “striscio di massa” nella popolazione, sarebbe senz’altro utile. Ci permetterebbe di fare quella cosa fondamentale che non ci è riuscita nella prima parte dell’epidemia, perché siamo stati travolti dall’onda. Ovvero tracciare e isolare il più possibile, e tempestivamente, i nuovi casi e i contatti più stretti. I checkpoint potrebbero effettivamente giocare un ruolo molto importante. Sono pensati apposta. Se il Cantone ci autorizzasse ad aumentare la capacità diagnostica, siamo pronti a partire”
Per quanto riguarda i test sierologici, invece, a che punto siamo?
“Partiranno due studi in Ticino. Uno sul personale sanitario e uno sulla popolazione. Quindi bene”
Infine, venerdì la RSI ha pubblicato una cartina con i casi positivi registrati per distretto. Cosa le suggerisce quella fotografia?
“Quando l’ho vista al TG sono rimasto allibito. Io l’avevo richiesta nello Stato maggiore, ma mi è sempre stato detto che non esisteva. Pur trattandosi di un dato riassuntivo e parziale - essendo basato solo sui tamponi effettuati dall’EOC, circa l’80% - è sicuramente interessante e molto importante. Bisognerebbe che quella cartina fosse aggiornata giornalmente, in modo da osservare come evolve l’epidemia. In Italia questi dati sono pubblici, dal comune alla Regione. Dovrebbe esserlo anche da noi. Purtroppo sui dati non c’è trasparenza”.
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