Nonostante l'area rossoverde abbia confermato i due seggi, i socialisti per la prima volta nella storia sono diventati il quinto partito in Ticino (e dal 2007 perdono elettori)
di Andrea Leoni
L’alleanza rossoverde ha centrato l’obbiettivo che si era data: confermare i due seggi al Nazionale. E ora cerca il miracolo di conservare il seggio agli Stati con Greta Gysin. Se il prodigio riuscisse, con ogni evidenza, cambierebbe il giudizio sullo stato di salute dell’area. Ma con i dati elettorali di cui disponiamo fino ad oggi, non possiamo che affermare che la coalizione formata da PS e Verdi, sta male.
Pur mantenendosi - per un pelo, lo 0,4% su un PLR non proprio in salute - la seconda area politica del Cantone, in quattro anni ha lasciato sul campo una marea di voti. Ciò al contrario dell’area di destra, che ha sostanzialmente tenuto, guadagnando il terzo seggio. Se nel 2019 era stato un trionfo, nel 2023 è stato un mezzo tonfo.
In buona parte ciò è dovuto al forte arretramento dei Verdi (-3%) - che invece quattro anni fa avevano portato i voti per il successo - ma anche alla costante perdita di consensi del PS (-1,6%). Gli ecologisti, tra due elezioni, hanno viaggiato sull’ottovolante, toccando il cielo con l’onda verde, e poi in picchiata fino al risultato di domenica, non schiantandosi al suolo grazie alla locomotiva Gysin e all'alleanza con Forum Alternativo. Dal 2007 i socialisti ticinesi sono invece arretrati ad ogni tornata elettorale per le Federali. Una crisi che pare irreversibile e che oggi li porta ad essere addirittura il quinto partito, scavalcati perfino dall’UDC. In Ticino non era mai accaduto e crediamo di non sbagliarci se diciamo che quello di domenica è tra i peggiori risultati di sempre, forse il peggiore, per il principale partito della sinistra. Una pagina nera della propria storia.
Ciò avviene, ed è più preoccupante, in un contesto in cui il partito svizzero va in controtendenza, crescendo leggermente e conservandosi, saldamente, seconda forza politica del Paese. Se è vero che il contesto internazionale, ed alcuni temi chiave hanno favorito la destra, è altrettanto vero che pure la sinistra aveva carte preziose da giocare in questa campagna. L’esplosione dei premi di cassa malati, su tutti, ma anche l’aumento del costo della vita. Temi forti, di sinistra, che però il PS in Ticino non è riuscito a trasformare in voti.
Bruno Storni, pur soddisfatto della sua votazione personale e della conferma del doppio seggio, lo ha spiegato domenica con il realismo crudo del tecnico: “Dopo le elezioni cantonali, oggi abbiamo raggiunto un altro minimo storico, e questo è gravissimo. Abbiamo sì mantenuto i due seggi d’area, ma non farei i salti di gioia. Bisogna fare autocritica, evidentemente non siamo riusciti a far passare le nostre idee e i nostri messaggi. Per la sinistra in generale non è dunque una grande giornata”.
Poco da festeggiare, insomma, anche perché il voto alle Federali segue la sconfitta subita dall’area rossoverde alle Cantonali. Tralasciano la debacle della lista unitaria per il Consiglio di Stato, la coalizione ha lasciato sul campo due deputati in Gran Consiglio, un verde e un socialista, con gli ecologisti che hanno rischiato di perdere il gruppo parlamentare e il PS che ha perso rappresentanza nelle commissioni parlamentari. Un chiaro insuccesso, per quella che era la grande novità politica delle ultime Cantonali.
Una delle spiegazioni che viene fornita per giustificare l’arretramento nelle ultime due elezioni, è la frammentazione, male atavico della sinistra continentale, anzi mondiale. Vero che quattro anni fa Avanti non esisteva, ma il Movimento di Amalia Mirante non è piovuto dal cielo per sbaglio. È la conseguenza di legittime scelte politiche del PS in prima battuta e dell’area rossoverde in seconda.
Tutto questo per dire che ora, comprensibilmente, non è tempo di parlare dei problemi e occorre fare quadrato in vista del ballottaggio. Ma chiuse le urne per il PS si apriranno due strade: o far finta di nulla, consolandosi con i seggi salvati e i bilanci in chiaroscuro, oppure aprire gli occhi di fronte a quella che è difficile non definire una crisi di sopravvivenza, conclamata ormai da una decina d’anni.
Con l’inizio dell’anno i socialisti dovranno rinnovare la presidenza. Fabrizio Sirica lascerà la guida ed è possibile che lo faccia anche Laura Riget. Quell’occasione congressuale sarà un momento importante per un’analisi approfondita e per capire come rilanciarsi. La battaglia sui tagli aprirà una prateria per le istanze di sinistra. Il PS saprà cogliere entrambe le occasioni?