Chi non sa chiudere con eleganza un capitolo è diffide che sappia scriverne di nuovi. Sono carenze strutturali che presto o tardi si pagano
di Andrea Leoni
L’esclusione di Valon Behrami dalla Nazionale è corretta. Sportivamente corretta. Forse addirittura inevitabile alla vigilia dell’apertura di un nuovo ciclo che dovrà plasmare il gruppo elvetico che giocherà i prossimi Europei e Mondiali.
Il centrocampista ticinese, infatti, paga il logorio del ruolo e degli anni (33). Le ginocchia di un mediano hanno scadenze precise e ineluttabili, più brevi rispetto alle rotule di chi gioca in altri ruoli.
L’ultimo Mondiale lo ha confermato: Behrami, dopo un grande esordio con il Brasile, si è spento partita dopo partita. Non regge più la sequenza ravvicinata delle gare. Neppure se schierato in un ruolo meno arrembante (ma non suo), davanti alla difesa. Non c’è alcun rimprovero da muovergli: è solo la natura che fa il suo corso.
La chiusura del rapporto con la Nazionale, arriva al termine di un’estate vissuta sull'ottovolante delle emozioni dal calciatore ticinese. Un Mondiale andato in vacca per una sorta di implosione della squadra, incapace di supportate con personalità il proprio tasso tecnico e smarritasi nel rincorre aquilotti. Le feroci polemiche politiche che sono seguite all’eliminazione. Il matrimonio con Lara Gut.
La delusione di Behrami è umanamente comprensibile ed è del tutto giustificata se ci soffermiamo sul metodo con cui è stato “messo alla porta”. Vladimir Petkovic e i dirigenti della Federazione avrebbero senz’altro potuto concordare la decisione con Valon, costruendo insieme a lui un’uscita di scena dignitosa: a un guerriero di tante battaglie tale onore andava concesso. Anche perché Petkovic e i manager federali non sono certo incolpevoli per quanto accaduto in Russia, anzi. Più in generale: chi non sa chiudere con eleganza un capitolo è diffide che sappia scriverne di nuovi. Sono carenze strutturali che presto o tardi si pagano.
Il CT e la Federazione hanno invece scelto il “taglio” netto, traumatico, sgarbato. E il centrocampista si è sentito offeso e tradito anche perché, nel post Mondiale, si era caricato sulle spalle la responsabilità di proteggere il gruppo nel tentativo di tenerlo unito. Da capitano de facto. Un compito, rivela oggi lui, di cui si è fatto carico anche su esplicita richiesta della Federazione. Quella stessa Federazione che poi lo ha malamente scaricato.
Sul punto va aggiunto che Behrami, a livello pubblico (privatamente non possiamo giudicare), non aveva assolto il ruolo di parafulmine e di collante con grande successo. Il ticinese, infatti, aveva manifestato atteggiamenti più da bullo che da leader, inveendo via social con chi criticava la spedizione rossocrociata in Russia. Emblematica, in tal senso, la polemica con il Dj di Radio 3i Maxi B che, con la leggerezza del tifoso, aveva fatto notare l’ovvio: ovvero che c’era poco da salvare dell’esperienza mondiale dopo un’eliminazione con una squadra più debole e per giunta dopo una prestazione ridicola. La reazione di Valon fu arrogante, scomposta e volgare. Reazione replicata qualche giorno dopo con un giornalista.
Forse quei toni supponenti e un po' isterici - certamente propiziati da un sottobosco che non conosciamo ma non per questo compatibili con una leadership autorevole - erano forse la spia di un percorso che si stava esaurendo. Il punto di caduta della parabola tipica dei mediani che, quando non vengono più sorretti dalle gambe e dai polmoni, perdono il tempo degli interventi e rifilano pedate a casaccio anziché intercettare il pallone. E vengono espulsi o finiscono in panchina. In ogni caso, fuori squadra.