Intervista al responsabile del Servizio di informatica forense della SUPSI: "Il problema non risiede tanto nel guasto in sé, ma nel fatto che siano stati interessati i numeri salva vita"
LUGANO – Il blackout della rete Swisscom che ha paralizzato chiamate e navigazione Internet preoccupa il responsabile del Servizio di informatica forense della SUPSI Alessandro Trivilini. O meglio, più che il guasto in sé, che è convinto si ripeterà, lo fa riflettere il fatto che siano stati interessati, ancora una volta, i numeri di emergenza.
La sua non è una critica a Swisscom bensì un giudizio tecnico sull’accaduto, che lancia comunque domande preoccupanti. “Secondo me dobbiamo separare il guasto tecnico dal fenomeno in cui la tecnologia, se ha un problema, ha un impatto su una società digitalizzata e sulla sicurezza delle persone; ovvero i numeri di servizi non erano disponibili”, precisa. “Un conto è il guasto tecnico che può succedere, dato che le infrastrutture sono così sollecitate, il numero di dati aumenta, le infrastrutture sono magari vecchie e richiedono manutenzione, dunque col cambio di paradigma a cui andiamo incontro possono essere colpiti da un errore, anche umano. Anzi, come cittadini dobbiamo essere pronti che potrà ripetersi, stiamo migrando da una società con l’informatica verso una società digitalizzata. Non dovrebbero capitare, soprattutto a colossi come Swisscom, però dobbiamo pensare che digitalizzando la nostra quotidianità potremo andare incontro a blackout. La notizia non è questa, ma bisogna far capire che la digitalizzazione tocca tutti e un piccolo battito d’ali su un server o un pc crea un problema sulla catena. Siamo tutti interconnessi, un piccolo anello debole compromette la sicurezza di tutti”.
Il lato interessante e inquietante però per lui è un altro. “Dove bisogna essere critici verso Swisscom, che deve dare risposta, è il fatto che per due volte ci sono state panne che hanno colpito i numeri di soccorso. Se la prima volta qualcosa non ha funzionato nella definizione e nella messa in pratica del piano di risposta agli incidenti, ora significa che quel piano di risposta o non c’era oppure è completamente sfasato rispetto alle aspettative e alla responsabilità che han nei nostro confronti. Dove c’è tecnologia un piano di risposta agli incidenti è fondamentale. Metto in atto di poter fare aggiornamenti, subire guasti eccetera e devo definire tutte le situazioni critiche come sicurezza, messa in sicurezza e salvaguardia oltre che propagazione del guasto. In poco tempo si è ripetuto due volte un guasto che ha impattato la messa in contatto dei cittadini col Pronto Soccorso, quindi con la propria vita, mostrando di non avere un piano di risposta agli incidenti, di non averlo adeguato o di non averlo messo in pratica. Qui si vanno a cercare le responsabilità: ogni scenario fra quelli che ho citato è gravissimo, soprattutto in relazione all’incidente di qualche settimana fa”, spiega Trivilini.
E lancia una metafora per spiegare il tutto. “Se usiamo una vettura a benzina, possiamo mettere in conto che qualcuno possa commettere un errore di valutazione e restare senza benzina e connessione. Ma il fatto che chi è alla guida non è preparato, non sa cosa fare in caso di incidente, non segue le regole per mettere in sicurezza l’auto e gli altri, non ha svolto degli esami, è gravissimo: qui si colloca la responsabilità. La domanda è: qual è il piano di risposta ai problemi sui collegamenti ai numeri di emergenza, che dovrebbero essere gestiti su una linea dedicata, con parsimonia? Se una persona anziana è ferma in un ascensore e non può chiamare l’ambulanza perché sta male in dieci secondi, rischia la vita. L’impatto di queste panne è molto importante, un piano di risposta all’emergenza deve metterlo in conto”.
“Cosa prevede il piano di risposta agli incidenti di Swisscom di fronte a una panne che attacca i numeri di soccorso? Siamo al blackout o c’è un piano di risposta, dove si capisce chi entra in gioco, chi viene segnalato? Swisscom dovrebbe dare queste informazioni per tranquillizzare i cittadini”, prosegue. Aver fornito dei numeri da chiamare su Twitter a suo dire è “pretenzioso, penso alle persone anziane che non sanno nemmeno cos’è”.
Quando c’era stato il precedente guasto, avevamo contattato la Swisscom che ci aveva consigliato di registrare sul cellulare i numeri di Pronto Soccorso e stazione di Polizia più vicini. Per Trivilini non è sufficiente. “Nella percezione di chi non è specialista in informatica, di fronte a situazioni che dovrebbero accadere una volta nella vita ed ora siamo già a due in poche settimane), un colosso dovrebbe essere pronto e non ricorrere a pagliativi come questo. Significa che c’è potenziale fragilità nella gestione del incidenti informatici, che impattano anche su numeri sensibili”.
Per l’esperto, la transizione verso la nuova società digitalizzata, con la tecnologia 5G, porterà a 5-10 anni in cui si sarà sensibili a guasti. E a suo avviso una grande importanza la riveste l’alfabetizzazione generale. “La gente deve sapere che può succedere ma deve anche essere informata in modo semplice su cosa fare. Tra la prima e la seconda volta non è stato fatto niente per preparare la popolazione a reagire. Qui si collocano le responsabilità. Pensiamo alle sirene: una volta all’anno si sa che in ogni paese quel mercoledì pomeriggio suonerà la sirena che dovrebbe essere usata in caso di grave pericolo ma che in realtà è una prova. Nel campo digitale non c’è ancora quella relazione tra cittadini e colosso digitale, va formata. Se non si sa come reagire, è il panico, a portarne le conseguenze sarà l’immagine di Swisscom. Il punto di partenza è il piano di risposta agli incidenti, ripeto: prevede che i numeri sensibili vengano impattati? Ci sono tante variabili che entrano in gioco”.
Suggestioni senza dubbio interessanti da rivolgere a Swisscom.
“La trasformazione digitale pone delle responsabilità che impattano sulla nostra vita. Il linguaggio binario fa si che se un ingegnere addetto alla sicurezza degli aerei scrive 0 invece che 1, l’aereo cade. Noi tecnici abbiamo una grande responsabilità, dobbiamo anche far capire che siamo in un momento di fragilità”, aggiunge ancora il Professore.