Il presidente dell'Ordine dei medici: "Ma niente spaccature o polemiche: la verità non ce l'ha nessuno (e io spero di sbagliarmi). Tra 15 giorni avremo un'idea più precisa della situazione"
LUGANO - Per l’Ordine dei medici (OMCT), come per tutte le altre organizzazioni sanitarie del Cantone, è stato un altro weekend d’intenso lavoro. L’obbiettivo è uguale per tutti: contribuire ad arginare i contagi da Coronavirus e prepararsi ad un eventuale epidemia.
Franco Denti, cosa avete deciso di fare come OMCT?
“Oltre alla hotline per i medici che abbiamo già attivato negli scorsi giorni, abbiamo costituito un comitato di crisi, composto dai cinque presidenti di circolo (Bellinzona, Lugano, Locarno, Mendrisio e Tre Valli). Questo gremio si riunirà regolarmente per fare il punto della situazione e avrà il compito di assistere gli studi sul territorio. Inoltre siamo finalmente riusciti a reperire il materiale necessario per tutelare i medici di famiglia che potrebbero trovarsi nella condizione di visitare un paziente malato di Coronavirus. Nei prossimi giorni questo materiale sarà disponibile e verrà distribuito. In questo frangente la tutela della sicurezza dei medici è un tassello decisivo per la tenuta del sistema sanitario, nel caso dovesse svilupparsi un’epidemia”.
È ancora preoccupato come sette giorni fa?
“Preoccupato sì, spaventato no. Le notizie che continuano ad arrivare dalla Lombardia, soprattutto dai medici e dagli specialisti che sono al fronte, non sono rassicuranti e invitano a tenere altissima la guardia”
Oggi riaprono le scuole. Questa decisione ha creato una spaccatura nell’opinione pubblica. Lei cosa ne pensa?
“Innanzitutto che non è il momento delle spaccature, delle polemiche e neppure del panico. Dobbiamo essere tutti responsabili e misurati nei comportamenti e nella comunicazione. Capisco che l’opinione pubblica possa essere un po’ disorientata, per i modi diversi con cui i vari Paesi e le varie regioni della Svizzera si stanno confrontando con questa crisi. L’esempio classico è quello degli eventi: la Confederazione pone un limite a 1’000 spettatori e la città di Coira fissa invece a 50 la soglia. Questo senza considerare quanto avviene in Lombardia. Ma bisogna accettare che sia a livello internazionale che a livello interno è in corso un dibattito nel mondo politico e sanitario sul modo migliore per fronteggiare questo nuovo virus. E nessuno, in questo momento, sa quale sia la strategia migliore. La verità in tasca non ce l’ha nessuno”.
Vero. Ma lei le avrebbe chiuse o no le scuole?
“Da medico di famiglia io avrei preferito uno stop di una settimana-dieci giorni a tutte quelle attività che possono potenzialmente facilitare la diffusione del Coronavirus. Quindi, sì, avrei chiuso le scuole come pure i luoghi di forte aggregazione, penso in particolare alle sale più grandi che ospitano cinema, teatro e concerti. Si tratta di misure fastidiose, che hanno delle conseguenze anche economiche di cui sono perfettamente consapevole, ma che appena fuori dal nostro confine sono state digerite da milioni di persone. In questo dibattito mi riconosco senza dubbio di più in chi propone una linea di grande prudenza, adottando subito quelle misure che possono frenare l’avanzata della malattia, senza dover attendere un malaugurato aumento dei casi”.
Ma noi, al momento, abbiamo un solo caso in Ticino (l’intervista è stata realizzata prima che fosse noto il secondo caso, ndr.) .
“Beh, Como e Varese sono nella nostra stessa situazione, eppure si muovono sulla linea di una prevenzione più severa. Purtroppo, non essendoci un vaccino e neppure dei farmaci, l’unico strumento che abbiamo per combattere una potenziale epidemia, è frenare il numero dei contagi. Dopodiché io mi auguro di tutto cuore che, in questa vicenda, abbiano ragione quelli che propongono una linea più soft rispetto alla mia. Spero proprio di sbagliarmi. Ma in questi casi meglio sbagliarsi per eccesso di precauzione, che per difetto”.
Quando a suo avviso capiremo qual è davvero la situazione?
“Io credo che da qui a 15 giorni cominceremo ad avere un’idea più precisa per lo meno degli effetti sul nostro territorio di quanto sta succedendo in Lombardia”
Infine, cosa pensa della quarantena fino al 15 marzo imposta dalla RSI ai collaboratori frontalieri e ai dipendenti che hanno soggiornato nelle zone a rischio?
“Faccio i complimenti alla SSR/RSI per questa misura di prevenzione. Si tratta di una decisione di buonsenso che condivido al 100%. Questa direttiva della radiotelevisione pubblica, tra l’altro, fa capire quanto fosse fondata, da un punto di vista sanitario, la mia proposta sulla chiusura delle frontiere che tanto ha fatto discutere e che qualcuno ha voluto strumentalizzare politicamente. Anche l’iniziativa di annullare i concerti e i programmi con il pubblico va nella giusta direzione. Se lo fa la RSI, a mio avviso, dovrebbero farlo anche gli altri. In un momento come questo bisogna ricordare a tutti quanti che ognuno è responsabile per se stesso e per la comunità in cui vive”.
AELLE