IL FEDERALISTA
Gli "appunti sulla Lega" di Claudio Mésoniat
Il direttore de Il Federalista ripercorre la storia e i valori del movimento prendendo spunto dalla nomina del nuovo coordinatore Daniele Piccaluga
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25 GENNAIO 2025

di Claudio Mésoniat - Il Federalista

Considero l’esistenza dei partiti, come tali, una necessità e una ricchezza. Per il momento non si vedono alternative alla forma partito, nonostante possa apparire uno strumento antiquato e logoro, con i suoi oltre due secoli di vita. Ma lo strumento, a me pare, rimane necessario per far funzionare uno Stato di diritto nella sua forma democratica e sociale.

Un giudizio di positività che vale per tutti i partiti? Direi di sì, fatta eccezione, a essere puntigliosi, per quelli sorti da pure vanità personali, da ristretti e passeggeri obiettivi monotematici, o ancora per “rovesciare tutto e costruire un mondo meno brutto” (diceva la canzone)... creando degli inferni in terra. Tale stima previa non può non tradursi nel tentativo di conoscere storia e filosofia di questi soggetti della vita politica.

Neppure quella creatura politica sui generis che è la Lega dei Ticinesi –al centro dell’attualità locale in questi giorni a causa di un avvicendamento ai propri vertici- penso dovrebbe sfuggire a questa rivisitazione.

Lo so, il 37enne neo coordinatore leghista Daniele Piccaluga va dicendo che non gli “piace guardare la politica attraverso lo specchietto retrovisore: dobbiamo concentrarci sul presente e sul futuro”. Tuttavia, buttando giù questi appunti, in parte ripescati nella memoria di lunghe e appassionate conversazioni con il fondatore della Lega, non sono le curve e le sbandate degli anni più recenti che intendo mettere a fuoco, bensì qualche elemento genetico che ha radici addirittura nella preistoria del movimento di Via Monta Boglia.

1) La Lega nasce nella scia del “Mattino della Domenica” -quasi come suo prolungamento militante, una sorta di milizia politica del Mattino- quando Bignasca si accorge che quel domenicale lanciato nel marzo del 1990 per “togliersi qualche sassolino dalle scarpe” sta aprendo un grosso varco nell’opinione pubblica ticinese.

Il Nano comincia dopo alcuni mesi a coltivare l’idea di dare corpo a quel crescente consenso anche a livello politico, nel senso stretto di creare una nuova formazione partitica. Idea da subito caldeggiata –quasi solo- dal direttore del settimanale, Flavio Maspoli. La pubblicità, che inizialmente si riversa copiosa sull’unico domenicale pubblicato in Ticino, per giunta gratuito, fa sperare in un futuro roseo.

In realtà quando, un anno dopo, il partito vedrà la luce, le inserzioni pubblicitarie cominceranno a rarefarsi e il Mattino diventerà una palla economica al piede del milionario imprenditore edile, del quale finirà per prosciugare il patrimonio. La questione del finanziamento del giornale diventerà un punto chiave anche per il futuro del partito, giacché…

2)   … detto con franchezza, difficilmente contestabile, la Lega sarebbe da tempo defunta se non avesse continuasse a esistere il Mattino della Domenica, il cui attuale direttore Lorenzo Quadri (fattosi le ossa alla dura scuola di Bignasca) ha saputo conservare al settimanale le caratteristiche di pubblicazione di battaglia politica, mantenendone il linguaggio (di cui diremo) ma ripulendolo dalle peggiori e inaccettabili forme di attacchi alle persone, che erano giustamente costati a Bignasca una collezione di denunce e qualche condanna penale.

La dirigenza della Lega –già prima della scomparsa di Giuliano Bignasca (2013) e del fratello Attilio (2020), che dal Nano aveva ereditato la leadership del partito-, pur tesoreggiando la consapevolezza del ruolo essenziale del Mattino, ha comunque optato per una formale separazione del settimanale dalla Lega. La proprietà del domenicale è oggi detenuta dalla nipote di Giuliano e figlia di Attilio, Antonella Bignasca, per legami familiari vicina anche al partito “cugino” della Lega, l’UDC, prima formazione politica nazionale.

La Lega, com’è a tutti noto, da giornale-partito si è trasformata progressivamente in un partito vero e proprio, sia pure a debole intensità organizzativa, che dopo alterne vicende, è divenuta nel 2011 partito di maggioranza relativa in Governo (con due consiglieri).

3)  Quali sono le caratteristiche native della Lega di Bignasca? I tratti costitutivi del patrimonio politico lasciato in eredità dal Nano? Vediamone alcuni, senza pretesa di esaustività.

A) “Essere vicini alla gente”. Ebbene sì, è la frase magica, perno di tutte le dichiarazioni rilasciate anche in questi giorni dai dirigenti leghisti e rievocate dai commenti che stanno accompagnando questo passaggio di consegne tra l'uscente coordinatore ad interim Norman Gobbi e l’”uomo nuovo” della Lega Daniele Piccaluga. L’espressione non è campata per aria, era davvero sulla bocca dei fondatori (Bignasca e Maspoli). Ma occorre guardarci dentro e darle un contenuto che non sia un aleatorio coperchio per tutte le pentole. Pena il naufragio nel populismo, nel senso deteriore della parola. 

- Il linguaggio. Anzitutto, dal punto di vista della comunicazione politica, "Essere vicini alla gente" significò davvero per Bignasca (spalleggiato da Maspoli) “parlare come il popolo”, promuovendo la parlata comune dei ticinesi al rango di discorso pubblico, degno della carta stampata. Ciò anticipò nel bene (fine di un linguaggio di casta, che spesso strumentalizzava valori a copertura di indicibili interessi e posizioni di potere) e nel male (molestia verbale, di cui il Nano era –purtroppo- campione, scurrilità ecc.) i social media.

Bignasca–insieme a Maspoli- ha introdotto tramite il Mattino anche forti dosi di satira, come strumento corrente di polemica politica. Questo ha indubbiamente contribuito a sgonfiare la pomposa alterigia di una classe politica che si prendeva troppo sul serio, quasi fosse investita di compiti messianici.         

- Un linguaggio che, in secondo luogo (e come ho ricordato più volte), prendeva le mosse dalla percezione di un cambiamento d'epoca, dovuto al venir meno dell’”ordine” di Yalta. Ne conseguiva la libertà di “dire sopra i tetti” quel che da decenni non si osava dire, e non certo per discrezione o decenza ma per una sorta di omertà.

Bignasca fiutò il “liberi tutti” seguito al 1989, proclamando che "il re era nudo", ovvero che –a quei tempi- i partiti storici si erano ridotti a greppie clientelari che operavano all’ombra di logomachie su principi e valori dei quali i loro stessi leader non padroneggiano neppure più il significato.

Un “tradimento” che non verrà più perdonato a Bignasca (e che egli pagò anche con il crollo delle inserzioni pubblicitarie sul Mattino): non bisogna infatti dimenticare che lui stesso, come imprenditore inserito in una precisa area politica, di quelle greppie aveva beneficiato.

- Una delle modalità nelle quali –su impulso di Maspoli- il Mattino declinò la sua mission di proclamare la… nudità del re, fu il controllo del pluralismo dei media di servizio pubblico. Non è da sottovalutare il carattere “liberatorio” di questo servizio di cui la Lega si auto investì e che ha portato dall'iniziale Terrario (rubrica satirica sui programmi RSI) alle varie più recenti iniziative per la riduzione del canone radiotelevisivo.

- (Sia detto per inciso: è probabile che oggi il Nano non si risparmierebbe dal satireggiare i leghisti che si riempiono la bocca di una vuota parola d’ordine come “essere vicini alla gente”…)

B) In realtà l'essere "vicini alla gente”, anche dal punto di vista sociale, per Bignasca non denotava affatto un demagogico presenzialismo a sagre e cene (peraltro non dissimili da quelle in uso ai tempi della famigerata “partitocrazia”), bensì una reale confidenza con la gente comune, fuori dai giri politico-intellettuali, nonché una vicinanza a persone e famiglie socialmente ed economicamente in difficoltà, verso le quali sapeva personalmente prodigarsi –come pure il fratello Attilio- anche in varie forme di aiuto immediato.

Si radicava qui la spesso rilevata sensibilità “sociale” di Bignasca (che ne ispirava anche la dichiarata stima per il sindacato OCST), ma anche –posso dire per esperienza personale- la sintonia con il solidarismo cattolico.

Ne poteva discendere -possiamo immaginare- anche l’intercettazione di vere e proprie ingiustizie “strutturali”, come il bubbone “casse malati”, ma al tempo stesso di disagi più nascosti e “dimenticati” dalla politica ufficiale, come la solitudine e la povertà degli anziani (->iniziativa per la 13a AVS), oppure i nodi della famiglia e della denatalità (->assegno di 1000 fr per il primo figlio, promosso dal suo infaticabile collaboratore e amico Giorgio Salvadè).

Tutto ciò ancor prima e in modo assai più significativo delle tematiche estemporanee e dal sapore libertario, come quella dei radar, oggi brandita addirittura quasi fosse il più autentico vessillo leghista.

C) Impossibile non citare, tra le componenti del DNA squisitamente politico di Giuliano Bignasca, anzitutto, l’anti statalismo (in lui di radice più anarchica che liberale), contrassegnato da una chiara propensione a valorizzare iniziative “nate dal basso”, con particolare attenzione alle scuole libere, a cooperative e associazioni assistenziali (che aiutava peraltro mettendoci del suo); in secondo luogo, il federalismo, da lui inteso prioritariamente come valorizzazione del Comune.

- Non è infatti un caso che grazie all’impegno di Bignasca verso la sua città, Lugano, sia nata l’Università della Svizzera italiana, suo chiodo fisso fin dalle prime edizioni del Mattino. Una conquista straordinaria, che il Ticino attendeva da un secolo e mezzo e che proprio lui, l’anti intellettuale per antonomasia, contribuì in modo decisivo a far sorgere: segno che un genuino impegno per la cultura non dovrebbe in alcun modo essere estraneo alla Lega (ci pensano mai coloro che si vantano di averne raccolto il testimone?). 

Fermiamoci qui, anche se di capitoli da aprire ce ne sarebbero certamente altri. Ma basti per capire come la Lega dei Ticinesi, qualora guardi alla propria storia più che trentennale, abbia un ricco patrimonio da riscoprire e reinvestire.

Oggi, lo sappiamo tutti, il dilemma per Piccaluga e compagni è rappresentato dal rapporto con l’UDC, un partito alleato, con il vento in poppa e che condivide una parte delle analisi e delle rivendicazioni leghiste. La vox populi conclama: la Lega deve solo decidere quando confluire nel partito di Blocher (e luogotenenti locali).

L’esito delle cantonali del 2027 sembra già scritto: un consigliere di Stato a testa. Quasi non convenga neppure andare alle urne... Che fare dunque? Incrociare le dita e aspettare di scoprire quali saranno i rapporti di forza tra due anni? Vasto programma.

 

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